Missioni Consolata - Febbraio 2011

FEBBRAIO 2011 MC 5 DAI LETTORI Cari mission@ri Per tutto questo io direi un grande grazie al Dott. Prandoni a nome di tutti noi che l’abbiamo cono- sciuto, apprezzato ed ama- to e a nome di tutti coloro che in un modo o in un al- tro hanno potuto usufruire dell’ospedale di Wamba ri- cuperando salute e gioia. L’ospedale di Wamba, la “Rosa del Deserto”, e il no- me del Dott. Prandoni non potranno mai essere divisi (un piccolo monumento li dovrebbe immortalare) perché sono nati così e vi- vranno così. So che il Dott. Prandoni è molto schivo e restio a sentirsi ricordato, ringra- ziato e apprezzato, ma penso che l’unico ringra- ziamento che potrebbe pia- cergli e renderlo veramen- te felice sarebbe il sapere che l’ospedale di Wamba continua ad andare avanti bene svolgendo la sua ope- ra medico-caritativa in fa- vore di tutti, ma special- mente dei più bisognosi della zona per la quale è stato sognato, amato e realizzato. P.L.G. Diani-Ukunda (Kenya) OMAGGIO AD UN AMICO Mi ha fatto tanto piacere vedere nella rivista Missio- ni Consolata di Novembre 2010 la foto del Dott. Silvio Prandoni con in braccio la bambina Marina nella sua casa famiglia di Mombasa. Lasciamo stare le diatribe e i battibecchi. È chiaro che gli Amici di Wamba (inclu- dendo tutti i gruppi: Amici di Wamba, Wamba Athena, Lucia di Mestre, Belluno, la famiglia stessa del dottore e molti altri) hanno fatto moltissimo per quell’ospe- dale coordinati com’erano dal Dott. Prandoni che tan- to apprezzavano e amava- no. Certamente senza di loro non ci sarebbe quella Rosa del Deserto che è l’o- spedale Cattolico di Wam- ba, il quale, in 40 anni, da un semplice Health Centre di pochi letti è diventato quell’ospedale che è ora con 200 posti. Con tutto il rispetto per i Benefattori che furono (e sono tanti, i nomi di alcuni di essi sono scritti nei muri dell’ospedale) la mia am- mirazione va a lui, al Dott. Silvio Prandoni che dedicò i 40 anni migliori della sua vita e professionalità per creare quella bellissima struttura che è l’ospedale di Wamba a favore delle tribù nomadi locali. Incontrai il Dott. Silvio Prandoni quando arrivò in Kenya verso il 1967 e aveva 30 anni. Dopo un breve tempo di apprendistato al- l’Africa nell’ospedale Cat- tolico del Mathari a Nyeri e poi a quello di Gaichangiro, andò subito al Nord fra le tribù nomadi nel semide- serto ove diede tutto se stesso per creare quell’o- spedale a favore della gen- te che ha tanto amato e dalla quale fu tanto ap- prezzato, stimato e ri-ama- to. Mi recai spesso a quel- l’ospedale per le mie ne- cessità personali e per portare della mia gente ammalata, a volte con viaggi di 10-12 ore, senza preavviso e a tutte le ore del giorno e della notte. Quando arrivavo, lui, il dot- tore, era là, pronto ad at- tenderci. Lui era sempre là, presente nell’ospedale 24 ore al giorno. Tanto che, specialmente al sabato e la domenica, dagli ospedali governativi mandavano le emergenze a Wamba per- ché sapevano che lui c’era, con le suore della Consola- ta e lo staff locale, aiuto in- sostituibile nello svolgere un servizio indispensabile e tanto apprezzato dalla gente locale. L’ho sempre ammirato perché vedevo in lui la vera vocazione del medico pron- to a dare anche la vita per la sua gente. Non lo nego, mi fu pure di sprone nella mia vocazione missionaria: la sua dedizione, genero- sità, altruismo mi toccava- no. Il Dott. Prandoni era riusci- to a crearsi molti amici in tutti gli ambienti special- mente nel campo medico: gruppi di specialisti (Orto- pedici, Ginecologi, Farma- cisti, Oculisti, Dentisti) di- sposti a venire ad aiutare nelle necessità dell’ospe- dale; quasi tutti i mesi c’e- rano degli amici a dare una mano. Il Dott. Prandoni preparava i pazienti poi gli specialisti venivano ad o- perare ed aiutare. Quale ammalato di quelle aree remote avrebbe potuto ve- dere uno specialista senza passare attraverso l’ospe- dale di Wamba? Pochissimi o nessuno, sia per le distanze, 400 km da Nairobi, che per i costi in- sostenibili. Quante gambe drizzate, quanti occhi riaperti, quan- te labbra leporine rimesse a nuovo, quante mamme hanno riacquistato speran- za attraverso di loro. Tutto questo fu sempre or- ganizzato e portato avanti da lui con tanta semplicità, dedizione e bontà. Il Dott. Prandoni non aveva a cuore solo gli ammalati, ma anche l’istituzione stessa dell’ospedale per il quale non mancavano altri tipi di amici: ingegneri, carpentieri, radiologi, mec- canici, elettricisti ecc. che venivano pure a dare una mano a risolvere i vari pro- blemi che sorgevano di tanto in tanto. Direi che, nonostante il ca- rattere che ogni persona può avere, all’ospedale di Wamba c’era un clima di famiglia, di amore vicende- vole, di volontà di aiutare i fratelli ammalati nel mi- glior modo possibile senza risparmiare tempo, tecno- logie e mezzi. redazione@rivistamissioniconsolata.it # Veduta dell’ospedale di Wamba tra acacie e buganville; sullo sfondo il villaggio omonimo.

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