Missioni Consolata - Dicembre 2010

messaggero; arrivo ad una ca- panna attorniata da un sacco di gente; entro, vedo una giovane donna legata al palo centrale della capanna in preda a dolori atroci, sta per partorire, ma il bimbo è ro- vesciato e non può nascere. Bru- sca, ordino di portarla all’ospe- dale; le donne di casa resistono, la nonna soprattutto, ma poi la paura prevale. Portano la giovane in ma- ternità, riesco così a far girare il bambino che nasce bene. Piccolo e madre sono salvi». LA SOFFERENZA DELLE DONNE Quell’esperienza le aprì gli occhi sulla sofferenza delle donne, vit- time delle tradizioni e dell’igno- ranza e spesso maltrattate so- prattutto se sterili o se partori- vano solo figlie. Era sempre colpa della donna. Neanche le infer- miere credevano che il sesso del bambino fosse determinato dal seme dell’uomo e che l’uomo po- tesse essere sterile al pari di una donna. Di fronte a tutta questa sofferenza, la sista inventò un ap- proccio tutto personale. Qualsiasi fosse la ragione per cui una donna veniva all’ospedale, lei faceva sempre un esame completo, la curava e poi le dava le raccoman- dazioni necessarie per condurre bene a termine la gravidanza. Stu- pite che la suora conoscesse la loro condizione, le donne comin- ciarono pian piano ad aver fiducia e così si recavano all’ospedale a partorire. Quando poi la gente si rese conto che all’ospedale i ma- lati guarivano, anche i bambini portati in condizioni estreme dopo essere stati trattati inutilmente dai guaritori tradizionali, comincia- di base c’era: pronto soccorso, reparto uomini, reparto donne, maternità, isolamento, sala ope- ratoria illuminata da una lam- pada a pressione che perdeva petrolio, farmacia e cucina. C’e- rano due suore, suor Silveria e suor Gesualda, sovraccariche di lavoro, anche perché dovevano provvedere le medicine ai di- spensari di tutta la diocesi di Meru. Mancavano però le latrine, che pure erano state costruite ben distanti dall’ospedale, ma erano state demolite dalla gente che le riteneva disdicevoli. Pro- prio quello delle latrine fu il primo problema che sr. Corona ebbe da affrontare con gli ispet- tori del governo coloniale inglese che volevano vederle a tutti i co- sti prima di dare l’approvazione definitiva all’ospedale. Ci volle del bello e del buono per convin- cerli a posticipare l’ispezione. Quando tornarono una decina di giorni più tardi, trovarono una batteria dei bei cessi nuovi fiam- manti (che nessuno usava). La sista rimase quattro anni a Nkubu da dove curò anche l’ini- zio dell’ospedale di Chuka con la sua nuova maternità. In realtà in quei tempi ben poche donne andavano a partorire al- l’ospedale. Nel Meru era ancora fatto tutto in casa. Ma quanta sofferenza per le donne! Sr. Co- rona narra con vivezza una delle sue prime esperienze. «Era già sera, avevo fatto il mio giro di controllo nell’ospedale e tutto andava bene. All’improvviso mi chiamano, non dall’ospedale, ma da fuori perché c’è una donna che è grave. Seguo rapida il rono a lasciare sul prato dell’o- spedale i bambini moribondi per cui avevano perso ogni speranza e che, secondo le loro tradizioni, avrebbero dovuto essere abban- donati alle iene nella foresta. Le suore li raccoglievano e, curati bene, guarivano. La gente pen- sava che risorgessero dalla morte. La morte era un’altra causa di tanta sofferenza, non solo per la perdita della persona cara, ma anche per tutti i tabù ad essa le- gati. Toccare un morto era im- pensabile. Chi per sbaglio lo fa- ceva era escluso dalla comunità e dalla famiglia e doveva pagare multe e passare attraverso pe- santi rituali di purificazione, par- ticolarmente umilianti per le donne. Quante volte aveva do- vuto lei stessa - per fortuna era giovane e forte allora - portare al cimitero il corpo di bambini o persone morte perché, a causa del terrore per il tabù, il mas- simo che poteva chiedere al per- sonale dell’ospedale era scavare la fossa! DICEMBRE 2010 MC 59 # Sopra, a sinistra: sr. Corona attorno alla fontana del Consolata Village a Meru. # Qui sopra: con i bambini della scuola nello slum di Meru. MC ARTICOLI

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