Missioni Consolata - Dicembre 2010

assieme ad esso, il giallo e l’azzurro. «Noi siamo i guardiani che curano questo mondo. Se il mundo– centro degli u’wa sparisce, muore l’universo». Per gli u’wa, la magia ed il soprannaturale non sono realtà distinte dalla vita quotidiana e sociale. Le malattie, la morte, i conflitti, irrompono quando l’equilibrio è alte- rato. Gli alimenti devono essere puri e consumati nei giusti momenti dell’anno. I digiuni e le purificazioni sono parte fondamentale della vita rituale. Può questo paradiso perfetto resistere? Può soppor- tare una mentalità guerrafondaia, violenta e distrut- trice? Eppure qui ci si sente tranquilli e forti. E since- ramente, proprio non viene da rispondere di no. LA DISTRUZIONE AVANZA: GASDOTTI, AUTOSTRADE, FUNIVIE «Nuove battaglie ci aspettano. Guarda le montagne, non si vedono: questa nebbia perenne le copre. È el micero del gas che brucia notte e giorno. E il cielo da mesi non è più lo stesso». Daris è preoccupata, e molto. «Ecco perché il cabildo mayor è sul piede di guerra: il gasdotto brucia la nostra aria. Cambia il no- stro clima. Non piove più». Con una grande marcia - una minga - lo scorso anno in ottobre oltre 2.000 u’wa hanno manifestato contro lo sfruttamento delle risorse naturali nel loro territo- rio. Sotto un sole cocente hanno percorso la lunga strada che da Arauca arriva fino alle province di San- tander e Norte di Santander cantando: «Gli u’wa da- vanti a Dio e al Mondo marciano per la vita. Gli indi- geni d’America di fronte all’invasione: resistenza, re- sistenza, resistenza!». I megaprogetti che minacciano immediatamente la sopravvivenza di questa popolazione, che con i suoi 6.000 abitanti è una delle decine a rischio d’estin- zione della Colombia, sono principalmente tre, ed in cima a tutto, ancora, c’è il petrolio. La statale Ecopetrol - che dal 27 agosto del 2007 ha cominciato ad essere venduta ai privati, e di «statale» è rimasto ben poco - non ha mai interrotto le attività estrattive in territorio u’wa. La Oxy ritirandosi ha ce- duto le azioni alla compagnia colombiana, che ha con- tinuato - con argomenti inaccettabili - a promuovere attività estrattive intense. Uno di questi argomenti era che le aree di perforazione non fossero «territorio abituale degli u’wa». Pur sfiorando il resguardo - a 400 metri vive un nucleo di famiglie indigene - vi en- tra di sbieco sotterraneamente. D’altronde, è la stessa Agenzia nazionale degli idrocarburi che afferma come questi pozzi siano «di interesse nazionale». Dopo i Gibraltar 1 , in barba alla stessa legge statale sono stati scavati il 2 e il 3, senza che la comunità fitta foresta pluviale, le case dove fanno i digiuni – ca- panne basse con il tetto spiovente fatto di foglie dove per almeno cinque volte l’anno si intraprendono lun- ghi ayunos (digiuni) purificatori; i piccoli campi colti- vati a fagioli, yucca , patate. Andiamo con loro ed andiamo in un paradiso. Ogni microclima dei quattro che caratterizzano il territo- rio ancestrale u’wa, ha le proprie piantagioni utili al- l’alimentazione e per le cerimonie religiose. I rituali hanno una funzione stabilizzatrice, nella ricerca di un costante equilibrio. Gli u’wa coltivano poco e a rota- zione. Non vogliono stancare la terra. Per trovare i loro campi, dobbiamo seguire la fila colorata di donne coi bambini legati dietro la schiena con una fettuccia fissata sulla testa. «Quest’acqua si può bere, questa no», e indicano questo o quel ruscello. «Qui ci sono i pesci!» grida Claudia, una giovane con gli occhi grandi e le collane azzurre che vogliono augurare fer- tilità. Con l’acqua alle ginocchia e un po’ di pazienza ci dimostra come si prendono i pesci con le mani. Ogni piccolo pesce che prende, lo mette in bocca dalla parte della testa. Poi l’infila uno con l’altro con una pagliuzza e se li mette al collo per trasportarli. Ingrid - ognuna ha anche un nome u’wa, ma il primo è per forza in lingua spagnola - ci fa vedere più avanti il campetto di piante di coca che usano per i riti. Jo- landa ci mostra come col machete e la corteccia di un albero si fanno le pentole. Ascoltiamo gli uccelli, per- ché portano messaggi. Stiamo in silenzio quando at- traversiamo certi luoghi. In altri, cantiamo. Ridono, le donne u’wa, con la frangetta e gli occhi asiatici. Camminano a piedi scalzi con tale leggerezza che paiono non piegare l’erba. «Hai visto? Questi sono i nostri dollares !». Compare nel fogliame lo sciamano Berito: «Questi sono i nostri soldi: i bambini, gli al- beri. E l’allegria». Tira fuori la maracas dei suoi canti, e racconta: l’universo era diviso in due, un mondo di sopra, luminoso e secco, e un mondo di sotto, buio ed umido, il primo bianco, il secondo rosso. Dopo «il grande movimento» si formò un mondo di mezzo, e A lato: bambina u’wa. Pagina accanto: una mamma u’wa mentre allatta la propria piccola durante una riunione della «Fondazione Ambata»; sotto, bambini all’esterno di una scuola indigena, dove si insegnano sia le ritualità u’wa che le materie statali.

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