Missioni Consolata - Dicembre 2010
zuppa con piante e tuberi sconosciuti, calda e gustosa e, a quanto pare, molto nutriente. Daris Cristancho è della comunità u’wa di Bachira, una delle più integre perché meno contaminate dal mondo esterno. Quando va a trovare i suoi, Daris cammina quattro giorni da Cubarà, attraverso vallate e risalendo montagne, fino ad arrivare a 4.000 metri, dove le pendici del ghiacciaio Cocuy cominciano ad essere imbiancate dalle nevi perenni lasciandosi in- dietro i paramos 1 gonfi d’acqua e di leggende. Là vive la sua famiglia. Daris è quella che si dice una leader: impegnata per il suo popolo e per i diritti delle donne indigene. Assieme a Berito Kuwaria, il viso interna- zionalmente riconosciuto della lotta degli u’wa e pre- mio Goldman 2 nel ’98, cura i rapporti internazionali. Gira il mondo, partecipa a conferenze, ma poi torna sempre qui, nel Resguardo unido , nella sua terra e dai suoi cinque figli, e nella scuola indigena dove è inse- gnante. « L ’ hortigo è la nostra carne», dice Daris, mentre strappa con sapienza una pianta simile alle nostre ortiche, ma con le foglie molto più larghe e car- nose. La scova in mezzo ad un groviglio di tante altre: «Gli u’wa che vivono vi- cino alle montagne sono quasi vegetariani e cacciano poco. Kakina è lo spirito degli animali e si arrabbia. Per questo, bisogna digiunare per tre giorni prima di cacciare». Probabilmente i lettori non avranno idea di quale in- trinseca soddisfazione possa provare una riowa , una bianca, straniera e vegetariana, nel trovare un posto (almeno uno in America Latina), dove invece di ridere o guardarti con stupore quando spieghi che «no, la carne no», ti dicono: «Capiamo perché non mangi carne. Con tutta la violenza che i vostri poveri animali devono subire in Europa. È come mangiare la loro sofferenza», e te lo dicono allungandoti una tazza di Daris e Berito sono leader u’wa conosciuti anche all’estero. La nostra collaboratrice, ospite del resguardo , racconta la sua coinvolgente esperienza con la comunità. Una comunità in cui la Terra è la madre che dà tutto. Per questo essa va rispettata e di- fesa, soprattutto quando il nemico è quell’«uomo bianco» che non sa e non capisce. La distruzione del territorio significherebbe la morte certa del popolo u’wa, ma an- che una nuova ipoteca sul futuro dell’umanità tutta. Cosmogonia e resistenza DI F RANCESCA C APRINI L’OGGI 34 MC DICEMBRE 2010 Qui sotto: Berito e una rappresentante delle donne spiegano la situazione in una riunione pubblica. Pagina accanto : bambino al telaio lavora il fique ; quest’attività fa parte dell’educazione: filando, ogni bimbo impara la cosmogonia u’wa.
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