Missioni Consolata - Dicembre 2010

MC I GUARDIANI DELLA TERRA geni seminudi e disarmati, mentre la Occidental avanza con le sue ruspe verso il Gibraltar 1, un pozzo fatto scavare a poche centinaia di metri dai confini del territorio u’wa. È un macello. Una bambina di quattro mesi muore asfissiata dai gas lacrimogeni, 3 ragazzini annegano nel Rio Cubucòn mentre fuggono da un at- tacco stile Apocalyps Now , con elicotteri e lacrimogeni. Undici guahibos , indigeni giunti in appoggio alla causa degli u’wa, spariscono nel nulla, così come una neonata, strappata dalle mani della giovane ma- dre mentre viene arrestata. L’esercito circonda i villaggi e sequestra i wer- jayà portandoli via con gli elicotteri: «O fate passare i macchinari per le trivellazioni, o non rivedrete più i vostri sacerdoti». Il cordone umano di uomini e donne – soprattutto donne – che si era for- mato per bloccare la strada alle trivelle, deve aprirsi. Cala il silenzio. Solo il suono della Natura mortificata sotto i cingoli di metallo e gli scarponi militari. Le donne non piangono. Fissano i soldati negli occhi. Una di quelle donne è Daris Maria Cristancho. Francesca Caprini A lato: ai ragazzi si insegnano le parole della pace e della convivenza. Sotto: il cartello ricorda che si sta entrando nella «Comunità civile di vita e pace» ( Civipaz ). Pagina precedente : croci che ricordano le vittime della guerra sporca. Ma, a sentire loro, ne vale la pena. Come racconta Danilo Rueda, che lavora per la Comisión de Justicia y Paz. «L’accompagnamento ai desplazados , gli sfollati a causa della guerra, che noi ope- riamo, è diretto e permanente e si rea- lizza attraverso un gruppo di lavoro che garantisce la propria presenza nella zona di conflitto: noi viviamo e condividiamo la vita con le comunità che assistiamo. Que- sto ha permesso ai componenti della Commissione una conoscenza profonda delle realtà di ogni comunità, delle fami- glie che la compongono e delle necessità di ognuna di loro. E quindi anche di de- nunciare e visibilizzare le violazioni dei diritti umani perpetrati in queste zone al fine di creare uno scudo, umano e media- tico, in difesa delle comunità. Lavoriamo per il miglioramento del benessere comu- nitario attraverso la sicurezza alimentare, la costruzione di infrastrutture comunita- rie e familiari, l’appoggio psicosociale, la difesa del territorio: per questo co- struiamo abitazioni e scuole, acquedotti comunitari, sistemi igienico sanitari, orti comunitari per il recupero e la valorizza- zione delle sementi autoctone. Inoltre sono stati avviati processi comunitari di protezione ambientale, conservazione del territorio, della cultura e della memoria». Danilo Rueda non sta passando un periodo facile. Qualche tempo fa era in moto ad un semaforo. È stato raggiunto ed affian- cato da una serie di motociclisti che sem- plicemente gli hanno detto: « Smetti di oc- cuparti di quello che stai seguendo. O sei morto ». Era vicino a casa sua. Ha preso moglie e i due figli e ha cambiato, di nuovo, abitazione. «Non ti ci abitui mai. La paura è tanta. Ma è il nostro lavoro - racconta Danilo -. Ma quando poi un solo uomo, una sola donna, un solo bambino che noi proteggiamo, ti dimostra che hanno capito cos’è la di- gnità, sai che ne vale la pena». Gli chiediamo di raccontarci della Colom- bia con il nuovo presidente, Manuel San- tos: «Gli ultimi 8 anni sono stati una sin- tesi del modello di repressione colom- biano. La militarizzazione della maggior parte dei territori attraverso il pro- gramma di “sicurezza democratica” por- tato avanti dall’ex presidente Uribe, ha provocato la frammentazione delle popo- lazioni e ha abusato della cooptazione dei falsi testimoni. Difatti, la commis- sione JyP si sta esponendo molto proprio perché sta riuscendo a documentare con elementi probatori e giuridici le violazioni ai diritti umani delle multinazionali. Nelle carceri ci sono 8.500 persone detenute illegalmente. Con Santos pare esserci più dialogo, ma di fatto la linea politica se- gue nel solco del predecessore e la pres- sione militare continua: assistiamo ad una implementazione del paramilitarismo - in particolare nel Chocò - e ad una sua istituzionalizzazione per un maggiore controllo sociale e militare dei territori. Aumenta la violenza sociopolitica, col pretesto della lotta alla guerriglia. In ve- rità, è tutto in nome della sicurezza per gli investitori stranieri, mentre il 20% dei colombiani sono poveri, 8 milioni sono in condizione di miseria, l’accesso all’ac- qua potabile è un lusso». La politica economica dell’Unione Euro- pea, l’accettazione del TLC (Trattato di li- bero Commercio), quanto incide nella si- tuazione dei diritti umani colombiani e sulla difesa delle zone di biodiversità? «La crisi energetica dell’Europa ha oggi un motto: “consumiamo verde”. Che in Colombia si trasforma in “produciamo verde”, nel senso della coltivazione di biodiesel ed agrocombustibili come l’olio di palma. Questo significa sfollamenti forzati, confisca delle terre alle popola- zioni originarie, paramilitarismo. Oltre che la distruzione di aree d’interesse fo- restale e di biodiversità». Quali sono le vostre vittorie? «Le zone umanitarie funzionano (zone che JyP fa riconoscere e struttura perché siano prive di militarizzazione, ndr ), e stiamo riuscendo a fare ottenere la con- sulta previa a molte comunità indigene. E la gente ha voglia di lottare, non molla. Due milioni di contadini stanno affron- tando un processo per ottenere la resti- tuzione delle loro terre. Su quello ab- biamo meno speranza: la politica estrat- tivista delle società minerarie, sostenuta dal governo, non guarda in faccia nes- suno». Che chiedete e che sperate? «Per noi non può esserci soluzione mili- tare al conflitto colombiano. E noi non perdiamo la speranza. Quando ci minac- ciano, penso ai miei figli. Ma poi penso che sto facendo questo anche per loro. È il rischio di lottare per la democrazia. E per un sistema e per un mondo che così, non possono andare avanti». Fra.Ca. DICEMBRE 2010 MC 33

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