Missioni Consolata - Dicembre 2010
IL «SANGUE DELLA TERRA» È il 28 aprile del 1995 quando il giornale colombiano El Nuevo Siglo titola: «Cinquemila indigeni minacciano di suicidarsi», e completa la notizia con la storia della rocca « del orgullo tunebo » o « de los Muertos ». Si rac- conta che durante la colonizzazione spagnola, los tune- bos - altro nome degli u’wa - si fossero buttati a migliaia da un precipizio, pur di non finire nelle mani dei con- quistadores . Compresi i bambini piccoli, messi in reci- pienti di ceramica e gettati dall’alto, ed ovviamente il cacique , il capo del popolo, che ultimo a buttarsi, co- ronò una montagna di cadaveri tanto grande da cam- biare anche il corso del fiume sottostante. Che il Nuevo Siglo , giornale a tiratura nazionale, sia ar- rivato a parlare del popolo u’wa e dell’atto estremo che minacciava, vuole dire che il testa a testa fra indigeni, industrie del petrolio e governo colombiano è giunto ad un nodo cruciale. La storia era iniziata nel '92 quando la multinazionale Occidental Petroleum Inc. - conosciuta come Oxy - ot- tiene di affondare i denti nel territorio indigeno u’wa. La compagnia statunitense con sede a San Francisco da quasi dieci anni gode assieme alla British Petroleum della grande ricchezza petrolifera dei territori intatti della Colombia. A est del territorio u’wa, la Oxy dall’85 succhia oro nero dal grande bacino chiamato Caño Li- mon. Dagli u’wa arriva assieme alla anglo-olandese Shell : con quote azionarie del 37.5%, entrambe entrano in Ecopetrol , società pubblica appartenente al governo colombiano. La prospettiva è l’estrazione di un miliardo e mezzo di barili di petrolio. Il luogo individuato è il «Bloque Samoré». Gli u’wa insorgono disperati: il pe- trolio è per loro «ruiria», sangue della terra, estrarlo sarebbe come sgozzare una creatura e condannarla ad una morte atroce: «Tagliereste mai la vena del collo a vostra madre?», chiedevano increduli i werkajà , i saggi del popolo che vivono ritirati nella foresta. Samorè è poi un luogo adibito ai rituali. « Oxy no, u’wa sì! » era il motto delle manifestazioni della campagna internazionale « las culturas con prin- cipios no tienen precio » (le culture con principi non hanno prezzo) che dalla Colombia aveva raggiunto Stati Uniti, Canada, Europa, fino all’Italia. Negli anni, tale campagna è stata minimizzata in tutti i modi dagli organi governativi colombiani. Ma, come era stato in Bolivia con la guerra dell’acqua di Cochabamba nell’a- prile del 2000, la lotta degli u’wa contro la Occidental Petroleum Inc. metteva apertamente in discussione un modello fino ad allora indiscutibile. Aveva creato pic- cole crepe da cui però era riuscita finalmente a filtrare una luce: quella di un’alternativa, di un nuovo mondo possibile. Il caso del popolo u’wa, ben prima che a livello interna- zionale si parlasse di cambio climatico, aveva imposto agli occhi di chi vuole vedere il dilemma del rapporto uomo-natura: da una parte uno Stato violento, disposto a spazzare via un popolo pacifico per qualche mese in più di rifornimento petrolifero agli Stati Uniti; dall’al- tra, gli u’wa, che si immolavano, pur di salvare il loro territorio ancestrale. Berito Kuwaria, sciamano u’wa premiato più volte per aver capeggiato la battaglia del suo popolo, continua a ripetere ovunque i suoi piedi scalzi e i suoi occhi ridenti lo riescano a portare: «Attento riowa : la Terra sta sof- frendo e si ribellerà. La Madrecita (la piccola madre, ndr) inizierà a sanguinare». Sono passati dieci anni e gli u’wa – dopo un ragionato silenzio – sono tornati a parlare: nuovi megaprogetti ( si legga alle pagine 38-39 ) minacciano l’integrità loro e del loro territorio ancestrale. La campagna «le culture con principi non hanno prezzo» è stata riattivata, per- ché loro sono Kajkrasaq Ruyina , i «guardiani della Terra». Nella sede di «AsoUwa», a Cubará; la scritta sul muro è eloquente: «Gli u’wa un popolo in resistenza».
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