Missioni Consolata - Novembre 2010
nalds ». Chiediamo ad Antonella se le farebbe piacere conoscere i suoi genitori. «No», risponde senza tentennamenti. E per il fu- turo, cosa vorresti? Scuote la te- sta, senza rispondere, ma quando le suggeriamo se le piacerebbe andare a scuola e poi trovare un lavoro, fa un cenno di assenso. Paula lavora come assistente so- ciale nel parador . È entusiasta e positiva. «Mi piace molto lavorare qui - dice con un ampio sorriso -. I ragazzi mi danno molto. Io sono cresciuta in una famiglia umile, ma - al contrario dei nostri ospiti - ho avuto un’infanzia felice. Que- sta per me è come la continuazio- ne della mia famiglia». È trascorsa la mezzonotte. Tina, Mario, Paula avvertono i ragazzi che è ora di chiudere la festa. Al parador di Tina ci sono regole precise. E tutti le rispettano. Paolo Moiola 48 MC NOVEMBRE 2010 ARGENTINA L i trovi in strada, nelle piazze, nei mercati, ma anche negli angoli lussuosi di Buenos Aires. Quando viene l’estate, viaggiano verso le città di mare a «veraneare» (da verano , estate). Li rico- nosci subito per il loromodo di muoversi tra la gente, per quello sguardo antico e profondo, velato di disincanto e d’amarezza. Bambini e bambine che scappano da differenti tipi di violenza conosciuti nelle proprie case: abusi fisici e psicologici, abban- dono, maltrattamenti, negligenze. Vecchi all’inizio della vita, unmini esercito co- stretto a crescere in fretta e a costruirsi quella scorza che permetterà loro di sopravvivere come adulti, ma di piangere come bambini. Fuori della casa, in libertà, formano gruppi o pic- cole comunità chiamate « ranchadas », da cui pren- dono un’identità, che usano come difesa comune per affrontare la violenza della strada. Dentro questi gruppi, l’uso sistematico delle dro- ghe, il rigetto sociale e l’indifferenza collettiva, sca- tena una violenza strutturale chemarca in forma molto dura il fisico e la psiche dei ragazzi e delle ra- gazze e li stigmatizza agli occhi della società. L’aggressività e le condotte autodistruttive sono gli strumenti di sopravvivenza che questi ragazzi adottano per nonmorire, per cercare di esserci. Malgrado tutto: malgrado gli svantaggi di non avere una famiglia, di non avere affetti, di non avere documenti, di essere additati come delin- quenti, ladri, responsabili di chi sa quali colpe, ab- bandonati a se stessi, maltrattati dalle forze di po- lizia e strumentalizzati dalla politica. Se riesci ad entrare in relazione con loro, difficil- mente ti comunicano i loro veri sentimenti, la loro storia, il vero nome. Quando ti confidano piccoli o grandi segreti della loro vita, preferiscono farlo in strada, nel loro ambiente, lontano da una casa o istituzione chemagari frequantano da anni, ma soltanto permangiare e dormire. Nel loro sguardo è sempre presente un’ironia da commediante, l’uso della bugia comemezzo di pro- tezione e di sopravvivenza è un’arte che usano da veri maestri. I loro corpi esprimono il possesso della propria realtà fisica, espressione del mondo popolare - ancora vivo nelle provincie argentine - che vive e si nutre della strada. Il grande problema nel lavorare ad un inclusione sociale di questi ra- gazzi rimane proprio in quest’aspetto della loro realtà, che appare sovversiva ad un ordine costi- tuito che vorrebbe ricondurli entro la propria vi- sione del mondo. Una soluzione che soffoca i ra- gazzi, non offrendo un’opportunità all’altezza della loro libertà. Jacopo Palumbo da Buenos Aires (*) (*) Jacopo Palumbo vive in Argentina dal 2003. Da al- lora si occupa di ragazzi di strada come volontario per la Ong Amici dei Popoli. Ha collaborato con i padri ro- gazionisti di Tucuman e con i salesiani degli Hogares Don Bosco ed altre realtà di Buenos Aires. Sta attual- mente perfezionando gli studi in psicologia. TESTIMONIANZA ADULTI PER FORZA # A sinistra: un ragazzo con Ana, volontaria argentina. # Sotto: Jacopo Palumbo, volontario italiano a Buenos Aires, durante una festa in casa di Mario Sotero.
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