Missioni Consolata - Ottobre 2010

man Sachs, Jim O’Neil scriveva: «Sempre più spesso mi chiedono se la sigla Bric (mattone, in inglese ndr ) non possa presto aggiungere una “s” non tanto per indicare il plurale, bensì per includere il Sudafrica, e se l’Africa - nel suo insieme - debba o meno poter contare sul medesimo roseo futuro verso il quale paiono proiettati brasiliani, russi, indiani e cinesi che di quel gruppo fanno parte». «Dopo il campionato del mondo di calcio svoltosi con successo in Sudafrica, sempre più persone palesano un vivo interesse per le opportunità che offre l’Africa. Il prodotto interno lordo combinato del continente è praticamente simile a quello di Russia e Brasile, ed è di poco superiore a quello dell’India» continua O’Neil; per cui è del tutto legittima la rivendicazione del con- tinente nero di essere considerato alla stregua delle altre potenze emergenti non solo in campo econo- mico, ma anche sullo scacchiere geopolitico globale. Nell’ultimo mezzo secolo, l’Africa ha destato senti- menti altalenanti: dall’euforia dell’indipendenza dalla rapacità coloniale è ricaduta nello sfrutta- mento del neocolonialismo; dal contagio democra- tico degli anni ‘90, che ha fatto gridare al «rinasci- mento africano», è ripiombata in balia di dittatori, odi tribali, guerre feroci e corruzione, venendo così seppellita in una montagna di luoghi comuni: conti- nente affamato e derelitto; buco nero della globaliz- zazione; il più grande mendicante della storia; ma- lato cronico irrecuperabile... All’improvviso, o quasi, l’afro-pessimismo sembra seppellito nell’ottimismo più lusinghiero: oggi si parla dell’Africa come «continente di enormi potenzialità e motore di grandi opportunità», «scommessa per il fu- turo e grande risorsa per il mondo», «attore fonda- mentale dello scacchiere economico mondiale...». A stimolare fantasia e appetiti mondiali sono le sue ri- sorse naturali, sia nei settori agricoli che in quello delle energie rinnovabili: il continente nero è il primo produttore al mondo di uranio, manganese, cromo, nichel, bauxite, cobalto, coltan, oltre che di oro, pla- tino e diamanti. Per questo le potenze asiatiche, Cina in testa, fanno a gara per accaparrarsi i mercati afri- cani e investire capitali in ogni direzione: esplorazioni del sottosuolo, rilevamento di miniere, acquisto di va- sti territori per l’agricoltura, impianti industriali, joint ventures con governi e gruppi privati... tutto per pro- cacciarsi materie prime ed energetiche di cui le ri- spettive economie hanno bisogno. Rischio di neocolonialismo? Può darsi. Sta il fatto che le cosiddette tigri asiatiche, senza nascondere la loro rampante aggressività, hanno contribuito a creare in- frastrutture, strade, scuole, ospedali. Poco? Forse. Ad ogni modo, gli africani le preferiscono alle politiche suggerite o imposte finora dalle grandi istituzioni pubbliche e private dell’Occidente, specialmente dal Fondo monetario internazionale (Fmi, da non pochi in Africa e altrove interpretato come Fondo per la mor- talità infantile), che hanno provocato non pochi disa- stri nazionali e favorito, se non creato, corruzione. Dal 2001, gli investimenti internaz onali, l’aumento del prezzo delle materie prime sui mercati internazio- nali, la riduzione del debito da parte dei paesi credi- tori, insieme alla volontà dei governi, hanno spinto la crescita economica dell’Africa. Il continente è pervaso da una nuova e diffusa consapevolezza, coltiva grandi ambizioni e non si sente più necessariamente con- dannato alla marginalità; ma non ignora le grandi contraddizioni in cui ancora si dibatte. Potenza economica, (forse) sì, ma per «gli altri», non per tutti gli africani. «Nonostante i positivi dati ma- croeconomici, come il prodotto interno lordo (pil), cre- sce il malcontento delle popolazion . Il pil dà un’idea, dimostra che delle ricchezze vengono prodotte in un determinato paese, ma serve tempo per trasformarle in fatti concreti: costruzione di infrastrutture e servizi. E la gente non vuole più aspettare.. » spiega Norbert Lebale, capo della sezione africana dell’Unctad. Al di là della tanta retorica internazionale sui «leoni d’Africa», qualcosa sta cambiando davvero. «L’Africa non deve disperare - affermano i vescovi africani nel “ Messaggio al Popolo di Dio ” a conclu- sione della II Assemblea speciale per l’Africa 2009 -. Le benedizioni di Dio sono ancora abbondanti e aspet- tano di essere sfruttate con prudenza e giustizia a fa- vore dei suoi figli. Dove le condizioni sono giuste, i suoi figli hanno dimostrato che possono raggiungere il più alto grado di impegno umano e competenza. Ci sono molte buone notizie... ma i mezzi di comunicazione spesso sembrano concentrarsi sulle nostre disgrazie e difetti, piuttosto che sugli sforzi positivi che stiamo compiendo. Nazioni sono uscite da lunghi anni di guerra e si muovono gradualmente sui sentieri della pace e della prosperità... L’Africa non è impotente. Essa chiede solo lo spazio per respirare e per prospe- rare. L’Africa si è già messa in moto e la Chiesa si muove con lei, offrendole la luce del Vangelo... Africa, alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina!». Benedetto Bellesi OTTOBRE 2010 MC 37 # Il successo del campionato mondiale di calcio 2010, svoltosi in Sudafrica, è una prova delle grandi opportunità offerte da tutto il continente.

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