Missioni Consolata - Settembre 2010
e con la voglia di lottare per essi e per la terra che è stata lasciata loro dagli antenati e custodisce quindi tutta la storia e la tradi- zione di questo popolo. Il lavoro che i missionari hanno sviluppato negli anni in questa re- gione è stato di appoggio fonda- mentale alla lotta per i diritti dei popoli indigeni. La festa per l’ac- coglienza si unisce al momento del distacco della comunità da p. Tiago (Giacomo Mena), che dopo tanti anni a Maturuca lascia la guida della missione. È un mo- mento di grande intensità a cui anche noi assistiamo, commosse e felici al tempo stesso di essere qui a partecipare a questo passaggio storico. Come il benvenuto, anche il con- gedo è un momento di festa. Jacir, storico tuxaua indigeno, ci dona, in quanto nipoti di p. Calleri, una col- lana di semi in ricordo della spedi- zione, impegnandosi a raccontare ai Waimiri Atroarí presenti nel CIR (Consiglio Indigeno di Roraima) la vera storia del massacro e il no- stro viaggio sulle orme di p. Gio- vanni. Nel cuore della foresta I nuvoloni che si addensano all’o- rizzonte non aiutano ad affrontare con tanta tranquillità il volo che ci porta alla missione Catrimani, partendo da una pista clandestina, sperduta nei campi della periferia di Boa Vista. L’aereo è minuscolo, cinque posti, mai preso uno così piccolo. Saliamo e iniziamo a sor- volare la foresta. Atterriamo sulla storica pista, co- struita più di quarant’anni fa da p. Calleri e p. Bindo Meldolesi, che si allunga sulla terra rossa a poca distanza dal fiume. L’arrivo appaga di tutti gli scossoni e timori del viaggio: non appena scendiamo dall’aereo scorgiamo le casette verdi della missione e gruppetti di indios che ci attendono incuriositi. Sanno del nostro arrivo e hanno raggiunto la missione per cono- scerci. Rimaniamo inevitabilmente colpite dai loro corpi nudi, colorati di rosso e ornati di perline e piume, ma presto comprendiamo quanto la fisicità qui sia vissuta naturalmente e liberamente, in un rispetto autentico del pudore. La loro lingua, per noi incompren- sibile, non si rivela però un osta- colo, a breve ci troviamo sedute con Maria Zinha, leader indigena di una delle comunità più vicine alla missione, e con delle bambine molto curiose con le quali iniziamo una comunicazione espressa at- traverso gesti, disegni e sorrisi. P. Corrado e p. Laurindo ci accom- pagnano nell’esplorazione in terra Yanomami. Amache e provviste alla mano, partiamo in barca per la visita alle comunità più lontane dalla missione. La prima sosta è presso una co- munità indigena la cui maloca (casa comune) è spaziosa ma, a differenza di altre, è tutta chiusa ad eccezione di un piccolo foro in cima; il fumo dei fuochi accesi al- l’interno e l’odore di cibo reso an- cora più acre dal caldo e dall’umi- D opo contatti sporadici con le popolazioni indigene Ya- nomami, nel 1965 padre Calleri e padre Bindo Meldolesi costruiscono la missione del Ca- trimani per sviluppare un rap- porto continuativo con gli indios, basato sul dialogo e sul confronto. Padre Calleri pensa la missione come un centro di incontro per le comunità indigene che vivono lungo il Rio Catrimani, per favo- rire i rapporti e instaurare un clima di fiducia e lealtà tra indios e bianchi, ma anche tra indios delle diverse comunità. Il pro- getto del missionario da un punto di vista fisico-tecnico è molto am- bizioso: potendo osservare la pla- nimetria originale, ancora conser- vata presso lamissione, è evidente che padre Calleri avesse in mente una struttura comunitaria che ri- corda molto la forma della maloca indigena, semicircolare, con al- l’interno un laboratorio, l’infer- meria, la cucina, il refettorio, una sala riunioni, alcune stanze e la cappella. Intorno alla missione aveva previsto di mettere a col- tura alcuni appezzamenti e anche di costruire un lago e un piccolo parco. Dell’idea originaria sono stati con- servati alcuni aspetti: nonostante la forma architettonica della mis- sione sia diversa, in quanto si com- pone non di un unico edificio, ma di tante casette di legno verdi, tutta- via la struttura organizzativa ri- mane però la stessa. I missionari svolgono qui un ruolo di appoggio alla popolazione indi- gena locale, accompagnando gli in- dios nel processo inevitabile di “modernizzazione”, in un’ottica di scambio reciproco di conoscenze. Attualmente l’azione di aiuto si concentra sui temi della sanità, con la formazione di microscopisti per la cura della malaria, del- l’etno-educazione, e si stanno an- che sviluppando corsi di analisi dei diritti indigeni e della costitu- zione. UN ANGOLO DI FORESTA # SETTEMBRE 2010 MC 15 # Famiglia Yanomami
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