Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2010
DOSSIER 38 MC LUGLIO-AGOSTO 2010 «Ero in carcere… e mi avete visitato» Pastorale carceraria fra gli indigeni Nasa L a cultura indigena Nasa è ricca di valori spiri- tuali; uno di questi è il valore della reciprocità, che promuove una rete di aiuti e scambi che arricchiscono le relazioni all’interno della comu- nità. Non conosce però il valore della solidarietà, che implica la gratuità. Per questo, l’ équipe missionaria del Nord del Cauca, in Colombia, ha sempre posto nel suo la- voro di evangelizzazione al servizio delle comu- nità indigene del popolo Nasa, il tema della forma- zione alla solidarietà come un elemento essen- ziale della sua testimonianza e dell’annunzio del vangelo di Gesù. Questo processo di formazione alla solidarietà si è venuto realizzando in vari spazi, ciascuno di essi con programmi specifici: uno di questi è stato l’accompagnamento dei carcerati indigeni nelle va- rie carceri del Cauca. Questo programma è nato nell’anno 2003, nel contesto di un processo di riflessione sul tema dell’amministrazione della giustizia, promosso a partire dal 1994 da un grande leader indigeno, Cristobal Sécue, che fu poi assassinato il 25 luglio 2001. Come frutto di questo processo di rifles- sione sono nati nelle comunità indigene del Nord del Cauca, vari strumenti al servizio dell’ammini- strazione della giustizia: la équipe giuridica zo- nale, la scuola di diritto proprio, il centro di armo- nizzazione indigeno e il tribunale indigeno. Secondo la cosmovisione indigena, anche nell’am- ministrazione della giustizia valeva il criterio della reciprocità: colui che commetteva un delitto do- veva pagare la pena corrispondente, e una volta pagata la pena, veniva riaccettato dalla comunità. Non c’era nessuno spazio per la compassione, la solidarietà e l’accompagnamento: per questo du- rante il tempo della sua permanenza nel carcere era totalmente abbandonato dalle autorità indi- gene e spesso anche dalla fami- glia. Per fortuna la nostra équipe mis- sionaria ha avuto la fortuna di in- contrare un leader indigeno, Rafael Coicué, che anche come conseguenza di una sua dolorosa esperienza di anni di carcere aveva maturato nel suo cuore il sogno di dedicarsi all’accompa- gnamento dei carcerati con un autentico spirito di solidarietà. Così, nel 2003, il programma ha ini- ziato il suo cammino con alcune chiare linee di azione: 1. Visita periodica quindicinale e accompagna- mento dei carcerati di 9 prigioni della regione, con l’obiettivo di animarli materialmente e spiri- tualmente, di promuovere una migliore relazione con le loro famiglie, le autorità e la comunità, di dare una risposta alle loro inquietudini e neces- sità. Ciò ha creato un nuovo clima all’interno delle car- ceri: non solamente i carcerati non si sono più sentiti soli e abbandonati, ma si è anche pro- mossa l’organizzazione interna, si è ottenuto uno spazio speciale per i carcerati indigeni, si sono promosse attività di lavoro, momenti di orazione e celebrazione, attenzione alla salute, ecc. 2. Appoggio giuridico, con l’obiettivo di assicu- rare la difesa e la giusta applicazione della pena, nel rispetto dei diritti umani, e in conformità con la legislazione indigena riconosciuta nella Costituzione. 3. Formazione, con l’obiettivo di aiutare i carce- rati a crescere umanamente, a mantenere la loro identità culturale, a rafforzare la loro relazione con il cammino della comunità, a sviluppare le loro capacità artistiche. Per questo oltre alla continua informazione sul cammino della comunità, si offrono corsi di sto- ria, cultura dei popoli indigeni, diritto proprio e giurisdizione speciale indigena, arti e mestieri (specialmente musica e artigianato). Come frutto di questo lavoro di formazione in alcune carceri sono nati piccoli complessi musicali e si è svilup- pata una produzione artigianale. Dopo questi sette anni di cammino il programma è diventato un’esperienza modello, prima a livello del Cauca e poi a livello nazionale. Come è normale, non sono mancate le difficoltà: ci sono state incomprensioni e resistenze per non parlare della mancanza di risorse economiche che ha reso difficile e alle volte impossibile la realiz- zazione di molte iniziative. Come équipe missionaria sentiamo l’allegria di avere collaborato alla realizzazione di questo pro- gramma, e specialmente di avere collaborato all’arricchimento della cultura Nasa con l’assun- zione di un valore eminente- mente evangelico come il valore della solidarietà con i carcerati. Come missionari della Consolata ci sentiamo contenti per avere continuato e messo in pratica l’insegnamento e l’esempio di San Giuseppe Cafasso, lo zio del nostro beato Fondatore. Padre Antonio Bonanomi, imc Direttore Centro Misión y cultura Bogotà . COLOMBIA A destra, padre Antonio Bonanomi. Nella pagina a fianco, l’altare e la tomba del santo presso il santua- rio della Consolata, a Torino.
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