Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2010

MISSIONI CONSOLATA MC LUGLIO-AGOSTO 2010 37 role che l’Allamano indirizzò loro per scritto appena tornato da Ro- ma dopo la beatificazione: «Il Bea- to Giuseppe Cafasso è pure nostro speciale Protettore e come voi di- te “vostro Zio”, e come tale lo do- vete onorare e imitarne le virtù. Egli in Paradiso vi farà da potente intercessore e, così ardente della salute delle anime, vi aiuterà nel lavoro della missione». Tra il Cafasso e l’Allamano è facile scorgere una buona sintonia spi- rituale, al punto che, in un certo senso, si può dire che nell’Allama- no rivivano molti elementi dell’i- dentità cristiana, sacerdotale e apostolica del Cafasso. Ciò lo si nota con facilità tanto nella vita per- sonale che nell’insegnamento del- l’Allamano. La profonda intesa tra zio e nipo- te ha un vertice, che mi pare esat- tamente espresso dal noto princi- pio caro ad entrambi, cioè: «Fare bene il bene». Questo principio, se seguito con coerenza, porta dritto alla santità. È certo che il Cafasso non insegnò una via straordinaria per tendere alla perfezione cri- stiana, ma solo un cammino coe- rente al vangelo. Ecco come si esprimeva in una meditazione ai sacerdoti: «Chi aspira ad essere un sacerdote santo e perfetto non pensi a fare cose grandi, e straor- dinarie, ma o grandi o piccole che esse siano pensi solo a farle bene, e con ciò solo sarà perfetto. Le opere grandi sono poche, e pochi sono chiamati a farle, ed è alle vol- te una grande e funesta illusione voler tendere a cose grandi e frat- tanto si trascurano le comuni, le ordinarie». Per il Cafasso, la san- tità si realizza nel quotidiano, nel- le piccole azioni di tutti i giorni e, per giunta, «non fa rumore». L’Allamano trasmise il pensiero ampio dello zio con convinzione a quanti avvicinava. “Il bene fatto bene”, come cammino verso la santità, divenne quasi un ritornel- lo nell’insegnamento dell’Allama- no. Ripropose più volte la stessa idea, quasi per chiarirla meglio: «I miei anni sono più pochi, ma fos- sero pur molti, voglio spenderli in fare il bene e farlo bene; io ho l’idea del Venerabile don Cafasso, che il bene bisogna farlo bene e non rumorosamente». Come si ve- de, anche l’Allamano era dell’idea che “la santità non fa rumore”. E applicava questo criterio anche al- l’attività missionaria dell’Istituto: «Nel nostro piccolo, faremo il be- ne senza rumore. Ciascuna Co- munità ha il suo spirito». Il Cafasso non inventò il principio del «fare bene il bene», ma lo de- dusse semplicemente dal vange- lo. Il suo ragionamento, valido per tutti i cristiani e non solo per i sa- cerdoti, era di una linearità inec- cepibile: chi vuole seguire Gesù Cristo deve ispirarsi direttamente a lui, che è il modello per eccellenza di ogni virtù. Ed ecco l’ap- plicazione pratica per i sacerdoti: «Nel nostro ministero rappresen- tiamo la persona di Gesù Cristo; operiamo per lui, ed in vece sua, di modo che dobbiamo procurare dal canto nostro di far quelle azio- ni in quel modo che le farebbe lo stesso Gesù Cristo; di modo che di un sacerdote si possa dire in pro- porzione quello che si diceva del figliuol di Dio: che ha fatto bene tutte le cose». Qui il Cafasso si ri- feriva all’episodio della guarigio- ne di un giovane sordomuto, nar- rato dall’evangelista Marco, di fronte al quale la gente piena di stupore esclamò: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e parla- re i muti!» (Mc 7, 37). L’Allamano colse dallo zio la stes- sa fonte di ispirazione. Anche per lui questo testo di Marco divenne un cavallo di battaglia per inse- gnare ai suoi giovani ad agire sempre con correttezza. Mi limito a riportare quanto disse ai mis- sionari nella conferenza del 3 set- tembre 1916, perché riassume be- ne il suo pensiero: «Nel santo van- gelo si racconta il miracolo operato da Gesù della guarigione di un sordomuto. A questo fatto le turbe meravigliate esclamarono: “Fece tutte le cose bene”. Pare che come conseguenza dell’accaduto, dovessero dire: fece cose grandi, miracolose... No, ma: fece tutto bene! Con queste tre parole fece- ro il miglior elogio, affermando che Gesù non solo nelle cose straordinarie, ma anche nelle or- dinarie e comuni faceva tutto be- ne. Vediamo come veramente No- stro Signore in tutta la sua vita fe- ce bene ogni cosa; per poi vedere se noi pure, imitandolo, facciamo tutto bene». Questo tipo di ragionamento era ricorrente nell’insegnamento del- l’Allamano, al punto che un gior- no ebbe il coraggio di fare questo augurio ai suoi giovani pieni di vi- ta, senza temere di turbarli: «Sul- la vostra tomba, quando morire- te, bisognerebbe poter scrivere: ha fatto tutto bene!». Uomini di speranza Soprattutto in un aspetto il Cafasso e l’Allamano si rasso- migliarono in pieno. Entrambi erano gli «uomini della speranza». Si può dire che la speranza era il loro DNA. E non si trattava solo di una dote umana, connessa con la L’attenzione per i più piccoli e i più poveri continua nel- l’azione pastorale dei missionari della Consolata.

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