Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2010
DOSSIER 36 MC LUGLIO-AGOSTO 2010 capace di ben esprimere la stima e la venerazione che osservavo in quanti l’avevano conosciuto». Convinto com’eradella santità del- lo zio, l’Allamano intraprese ben presto una serie di iniziative per diffonderne la conoscenza. Iniziò curando personalmente l’edizione delle meditazioni e delle istruzio- ni che il Cafasso aveva tenuto ai sacerdoti durante gli esercizi spi- rituali (1892-1893): Scrisse nel- l’introduzione: «Nutro fiducia d’aver fatto cosa gradita ed utile ai venerandi colleghi nel sacerdozio, e così di poter cooperare in qual- che modo alla continuazione del bene fatto dal venerato mio zio nella sua missione provvidenziale a vantaggio del clero». Continuò con la pubblicazione di due bio- grafie del Cafasso, una redatta dal can. Giacomo Colombero (1895) e un’altra dal teol. Luigi Nicolis di Robilant, uscita postuma nel 1912. Infine, si interessò per la traslazione della salma dal cimite- ro al santuario della Consolata (1896). L’iniziativa per eccellenza, che comportò un superlavoro per l’Allamano, fu la causa di beatifi- cazione del Cafasso, iniziata il 16 febbraio 1895 presso il tribunale ecclesiastico di Torino e trasferita a Roma nel 1899. Senza esserne il postulatore, in pratica l’Allamano fu il motore che faceva funziona- re tutto. Sensibile e attento com’e- ra, si rendeva conto che, come ni- pote, poteva dare l’impressione di agire spinto da ragioni di sangue. Ovviamente non era questo il suo spirito, come spiegò ai suoi gio- vani missionari: «Ho introdotto questo processo, posso dire, non tanto per affezione o parentela, quanto per il bene che può pro- durre l’esaltazione di questo uo- mo, affinché quelli che leggeran- no le sue virtù, divengano bravi sacerdoti, bravi cristiani e voi bra- vi missionari». Quando il Cafasso venne beatifi- cato, il 3 maggio 1925, il beato Al- lamano sentì di avere svolto la missione che Dio gli aveva ispira- to e, nonostante le sue precarie condizioni di salute, poté essere presente alla solenne cerimonia nella basilica di S. Pietro a Roma. Fu per lui, certamente, una gioia indescrivibile. Modello di vita Prima che agli altri, l’Allamano propose a se stesso il Cafasso co- me modello di vita cristiana e sa- cerdotale fino alla santità. Quanti ebbero la fortuna di conoscere en- trambi non dubitarono di affer- mare dell’Allamano che era un «Cafasso redivivo». Il beato Luigi Boccardo, che l’Allamano aveva scelto come direttore spirituale al Convitto ecclesiastico, affermò: «Si potrebbe ripetere di lui, quasi alla lettera, quanto fu scritto del suo beato zio». È davvero stimo- lante leggere in parallelo la spiri- tualità di questi due santi sacer- doti. Tanto più che l’Allamanonon ha tenuto per sé la spiritualità del Cafasso, ma l’ha trasmessa a quanti avvicinava nel suo ministe- ro, soprattutto ai suoi missionari e missionarie. Sono attuali le pa- I l beato Giuseppe Allamano ini- ziò da giovane una graduale sco- perta della santità dello zio ma- terno, S. Giuseppe Cafasso, che andò approfondendo con gli anni. Ecco come lui stesso spiega que- sta felice esperienza: «Fin dalla prima età, al sentir parlare così be- ne in casa e dai compaesani del Cafasso come di un sacerdote mo- dello e caritatevole, lo ammiravo; questa ammirazione aumentò quando, trovandomi all’oratorio salesiano per gli studi ginnasiali, lo udivo proposto come modello da Don Bosco. In seguito, da chie- rico, per il maggiore contatto con i sacerdoti della diocesi, si accre- sceva sempre più la mia stima ver- so il Servo di Dio. Fatto poi sacer- dote nel 1873, per l’accresciuta comunicazione con i sacerdoti, massime al convitto, ove andavo per udire le conferenze, appresi a stimarlo ancora di più». È certo che da questa esperienza l’Allamano fu profondamente se- gnato sia come uomo che come sacerdote. Gli fu facile convincer- si che sarebbe stato un grande do- no alla chiesa di Torino, e non so- lo, diffondere la conoscenza della santità del Cafasso. Dietro consi- glio di esimi sacerdoti, tra cui Don Bosco, raccolse e ordinò tutte le possibili testimonianze, di modo che non si perdesse nessuna noti- zia dello zio. Inoltre, lui stesso in- cominciò a stenderne una biogra- fia, riempiendo 33 fogli protocol- lo, che però non si sentì di continuare. La ragione, come lui stesso ammise, era «il vedermi in- p pp nel pensiero e nell’opera di suo nipote, il beato Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata. di Francesco Pavese IL BENE FATTO BENE L’insegnamento del Cafasso da Torino al mondo a sua spiritualità L
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