Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2010
MISSIONI CONSOLATA MC LUGLIO-AGOSTO 2010 35 contesto di dinamiche sociali e ci- vili, in cui gli animi più inquieti si agitavano, rimase innegabile il contributo del carisma e dell’ope- rato del Cafasso per ciò che ri- guarda il mantenimento dell’os- servanza e della pratica religiosa, la costante attenzione ai poveri e la preoccupazione pastorale che da parte dei fedeli fosse condivisa in modo unanime l’adesionea una condotta morale di vita cristiana il più possibile conforme ai dettami e alla tradizione della chiesa. ■ * Il presente testo è liberamente tratto, con il permesso dell’autore, da tre articoli di Don Lucio Casto, prete della diocesi di Torino, pro- fessore di Storia della Chiesa e di Teologia spirituale presso la Facoltà Teologica di Torino e presso l'Istitu- to Superiore di Scienze Religiose. A lui va il sentito grazie della reda- zione. e rispondevano con un notevole consenso da parte dei fedeli, con- tadini e braccianti, partecipi in massa alle funzioni religiose da lui celebrate. Il taglio e lo stile pasto- rali, dunque, si adeguavano al ge- nere di vita che si conduceva nelle campagne piemontesi. Altre omelie, tenute con un diver- so taglio espressivo, erano fatte ai fedeli che si riunivano nella chiesa di S. Francesco d’Assisia Torino. La predicazione del Cafasso in questa chiesa, tuttavia, non si discostava tantissimo da quella già effettuata nelle campagne. L’uditorio urbano (composto in prevalenza da gente semplice) ascoltava le stesse rac- comandazioni e i medesimi am- monimenti morali rivolti alle fami- glie contadine. Questo dato risul- tava comune, forse, perché nell’Ottocento non esisteva anco- ra una forte discrepanza culturale e sociale tra la gente che viveva nelle campagne e quella che abita- va in città. O per lo meno, lo stes- so Cafasso non percepiva una profonda differenza tra la gente di campagna e la gente di città, invi- tando l’una e l’altra a osservare identici se non molto simili detta- mi morali di vita pratica. Gli argomenti oggetto delle sue prediche vertevano su aspetti di vita religiosa relativi in particola- re alla devozione mariana, che tanta fortuna ebbe nel contesto cittadino della tradizione religio- sa torinese, e alla frequentazione ai sacramenti. Si toccavano rifles- sioni inerenti il peccato, l’inferno, il paradiso e la misericordia divi- na. Nel contempo non si riscon- travano nelle parole, nelle esorta- zioni e negli ammonimenti del Ca- fasso nessi di alcun genere con i temi culturali e sociali in voga in quel tempo, tanto meno con le aspettative politiche dell’epoca, che si stavano identificando in modo sempre più complesso e anche grave con il Risorgimento. La predicazione popolare del Ca- fasso, tuttavia, rifletteva la realtà di una società che ben lontana dal- lo stereotipo ottocentesco di una popolazione moralmente sana e devota e attaccata alla chiesa. Le osservazioni allarmistiche del Ca- fasso, infatti, evidenziavano, sen- za però farvi un riferimento espli- cito, il movimento, ritenuto peri- coloso, delle nuove idee politiche e religiose che tendevano a divi- dere le nuove dalle vecchie gene- razioni; queste ultime erano infat- ti più legate alle tradizioni locali e religiose che non le prime, più pro- pense, invece, a contraddirle e non rispettarle. Le parole del Cafasso denunciavano dunque, in modo realistico, a tratti paternalistico e a tratti anche ironico, che il divario e l’incomunicabilità tra genitori e fi- gli erano ben visibili, che le fami- glie erano spaccate, e che la ten- denza a provocare e fare scandali era un dato sociale riprovevole e ri- corrente. La preghiera, secondo il Cafasso, restava l’unica ancora di salvezza e di speranza a cui ricorrere di fronte a queste serie problemati- che, con cui la gente si misurava, a fronte di mutamenti sociali e po- litici ormai alle porte. In un tale Interno della casa del santo a Castelnuovo Don Bosco.
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