Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2010

MISSIONI CONSOLATA MC LUGLIO-AGOSTO 2010 33 della diocesi, sempre per la strada e fuori di casa ad aiutare i poveri, i carcerati, gli ammalati. Parte del- la sua giornata era condotta al convitto con il compito di forma- re i giovani preti (la sua pedagogia e la sua affabilità erano ben note e apprezzate, tanto da averne fa- vorito il carisma e un forte ascen- dente sui giovani convittori), al confessionale (in cui dichiarava che il prete non doveva solo esse- re giudice, ma anche medico, maestro e amico) e al pulpito per educare le anime, ma gran parte delle altre ore erano trascorse in compagnia dei poveri: nelle car- ceri, al capezzale degli ammalati, nelle case dei suoi assistiti, lungo la strada con ragazzi spazzacami- no. Lo zelo e lo stile pastorali che con- traddistinsero la vita sacerdotale del Cafasso, costituivano un ele- La formazione del clero Il Cafasso ebbe molto a cuore la formazione dei sacerdoti, che fre- quentavano il Convitto ecclesiasti- co di San Francesco d’Assisi di To- rino. La disciplina che insegnava (teologiamorale) e la direzione spi- rituale, che esercitava con un for- te ascendente sugli allievi, diven- tavano un’occasione propizia per allevare nei sacerdoti uno zelo pa- storale tale che si sarebbe rivelato stupefacente, a tutto beneficio del- la chiesa e della società. Gli esercizi spirituali (e le istruzio- ni) costituivano il percorso forma- tivo ideale in cui il Cafasso incul- cava i suoi ammaestramenti morali nelle menti e nei cuori dei giovani sacerdoti a lui raccomandati e che a lui si rivolgevano, desiderosi di essere consigliati, guidati, inco- raggiati. Il luogo prescelto, in ge- nere, era il santuario di S. Ignazio presso Lanzo. Qui si continuava una tradizione pedagogica intro- dotta dal teologo Guala, che ben presto si configurò secondo una modalità d’insegnamento e ap- proccio educativo originali e inno- vativi, che portavano in sé il sug- gello e l’impronta peculiari della predicazione del Cafasso. Gli esercizi avevano una durata media di otto giorni e in essi si in- segnava una morale, un’ascesi e una pratica devozionale che si ri- chiamavano alla spiritualità di Sant’Alfonso de’Liguori, ma che anche riflettevano il pensiero spiri- tuale ignaziano, quello di San Ber- nardo e quello infine di Sant’Am- brogio. La sua esortazione princi- pale era rivolta ad alimentare un più genuino fervore e solerte im- pegno pastorali, portando l’attenzione degli uditori alle con- seguenze negative derivanti dal degradarsi e venir meno della di- gnità sacerdotale. Il ministero sacerdotale, secondo il Cafasso, doveva contemplare e vivere in modo radicale la povertà evangelica e non doveva trascura- re tra l’altro l’aggiornamento co- stante negli studi di morale e teo- logia, al fine di rendere più effica- ce e tempestiva l’attività pastorale che competeva ai singoli preti. Ad essi ribadiva poi l’importanza del sacramento della confessione, e insegnava il modo migliore per elargire il perdono e interrogare sui peccati commessi. Raccoman- dava inoltre la preghiera, special- mento di novità per quell’epoca, in cui prevaleva un tipo di prete co- siddetto «secolarizzato», eredità del Settecento. Tale prete era più portato all’ozioe all’imitazionedei nobili, frequentatore di salotti e caffè e dedito agli affari mondani, piuttosto che alla cura d’anime,co- me la confessione o la predicazio- ne o l’assistenzaconcreta e diretta dei diseredati. Questi invece erano gli obiettivi a cui teneva moltissimo il Cafasso e per i quali si batteva con toni pa- cati, ma fermi. Coerente con se stesso e con quanto andava predi- cando, egli si rivelò zelante al mas- simo grado in questo particolare frangente. Di qui la sua fama di santità eroica, che riuscì a conta- giare e plasmare successivamente un numero considerevole di disce- poli, continuatori della sua parti- colare azione pastorale, donando alla diocesi di Torino quelle figure di preti-pastori d’anime di cui va tanto fiera la chiesa piemontese. La casa natale di San Giuseppe Cafasso a Castelnuovo Don Bosco.

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