Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2010
DOSSIER 30 MC LUGLIO-AGOSTO 2010 Un filo di speranza e una rete di umanità Dalle carceri senatorie alle case circondariali S essantotto condannati a morte assistiti, diciot- to anni di ministero sacerdotale a favore dei carcerati rappresentano l’operato di San Giu- seppe Cafasso nelle carceri di Torino, città in cam- biamento per i moti e gli ideali risorgimentali du- rante il regno di Carlo Alberto. Era un periodo di crescita civile che contemplava, tra l’altro, la spe- cializzazione degli istituti penitenziari tesi al rein- serimento sociale dei devianti. I detenuti vivevano in cameroni senza alcuna diffe- renza di età e tipologia di reato nelle carceri torine- si di Via San Domenico n. 13, Via Stampatori n. 3, Via San Domenico n. 32 e le Torri Palatine presso Porta Palazzo. Le carceri erano sovraffollate perché i processi si celebravano con molta lentezza. Molti prigionieri provenienti da altri luoghi venivano trasferiti nelle prigioni torinesi. La vita intramuraria era malsana: paglia marcia per dormire, tanti parassiti (pidoc- chi, pulci, cimici), vetri rotti, latrine intasate, ma- lattie infettive. Il reato più ricorrente riguardava il patrimonio, co- me furti di oggetti, generi alimentari, vestiario, le- gna da ardere. La prostituzione era esercitata an- che da lavandaie e mogli di artigiani per sbarcare il lunario. Tanti ragazzi crescevano per strada, ai margini della società e, una volta provato il carce- re, erano destinati a delinquere per tutta la vita. Nell’immaginario collettivo, il carcere è il luogo dei criminali, ma è anche un’istituzione che vari e con- trapposti regimi di governo utilizzano per elimina- re oppositori politici. ITALIA San Giuseppe Cafasso era a conoscenza delle con- traddizioni economiche e sociali della Torino nella prima metà dell’Ottocento. Scopriva molteplici sofferenze nascoste e miserie inimmaginabili che affliggono i ceti più deboli. La prigione aggravava la sofferenza della privazione della libertà, svol- gendo una funzione afflittiva per soddisfare la se- te di giustizia della collettività. Il santo degli im- piccati portava l’attenzione sul primato della per- sona, in particolare sull’amore misericordioso del Padre per gli ultimi della società, sostenendo il de- tenuto a livello umano e incoraggiandolo a rivol- gersi alla Madonna della Consolata per redimersi e dare senso all’espiazione della pena. Il modo di porsi di San Giuseppe Cafasso di fronte ai carcera- ti era improntato all’ascolto, alla pazienza, al sor- riso e alla condivisione. Le ragioni delle sue rela- zioni con i reclusi erano cristiane perché ogni es- sere umano è immagine di Dio creatore e fratello di Cristo che lo ha redento. Perciò si trattava di far emergere quel seme di bontà nascosto nell’animo di ogni carcerato, aiutandolo in tutti i modi a cam- biare in positivo la propria condotta deviante. Per il Cafasso, entrare in prigione significava portare serenità, pace e consolazione in un ambiente do- minato dalla vendetta, dai rancori, dal terrore e dall’odio. Alla subcultura della violenza contrap- poneva la testimonianza dell’amore fraterno, in- troducendo un po’ di calore umano e affetto pater- no a chi aveva avuto un padre padrone, severo, assente. Particolare attenzione rivolgeva ai con- dannati a morte. Li seguiva fino all’ultimo respiro, ricordando loro, mentre venivano trasportati dalla prigione al luogo di esecuzione, detto il Rondò della Forca, l’amore materno della Madonna della Consolata. Rievocando i sentimenti filiali che cia- scuno di loro si portava dentro anche a livello in- conscio, era possibile sperare in un futuro miglio- re. I confratelli e le consorelle della Misericordia collaboravano portando ai carcerati il soccorso materiale (tabacco, paglia per il letto, vestiario e vitto) ed instaurando rapporti umani e spirituali. Il 27 giugno 1857 veniva approva- ta dal Re di Sardegna, Vittorio Emanuele II, la riforma della segre- gazione individuale. La nuova vi- sione del carcere prevedeva che ogni detenuto doveva stare da so- lo in cella, notte e giorno, per rav- vedersi e potersi reinserire nella A sinistra, riproduzione di un letto di contenzione. A destra, il santo presso la forca. Immagini tratte dalla mostra «San Giuseppe Cafasso nelle carceri di Torino», or- ganizzata dalla comunità «Franca e Marco» presso l’antica casa parroc- chiale di Castelnuovo Don Bosco.
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