Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2010
DOSSIER Un omaggio doveroso Introduzione 28 MC LUGLIO-AGOSTO 2010 S i èappenaconcluso l’annosacerdotalee,comemissio- nari della Consolata, ci sembra doveroso dedicare un ampio spazio di riflessione alla figura di un grande santo prete, a noi particolarmente caro e vicino: Giuseppe Cafasso.Approfittiamo inquestomododi altredue fortu- nate scadenze chemarcano sei mesi dedicati allamemo- ria di uno dei pilastri della ricca tradizione ecclesiale pie- montese del diciannovesimo secolo. Il 23 giugno si è in- fatti ricordato il 150° anniversario della morte del Cafasso,mentre il prossimo 15 gennaio si celebreranno i 200anni della suanascita. G iuseppe Cafasso è un santo a cui dobbiamo molto. Elementi della sua spiritualità ci sono infatti giunti at- traverso l’esperienza del nipote e nostro padre fonda- tore, il beato Giuseppe Allamano (figlio di Maria Anna Cafasso, sorella del santo) e fanno ormai parte del nostro Dna.Per questomotivo, conmolta libertà,abbiamo desi- derato affiancare ai due articoli, che ripercorrono i tratti fondamentali del pensiero e della spiritualità del prete castelnuovese,anche qualche testimonianza di come,nel mondo, i missionari e le missionarie della Consolata, vi- vono il tratto più conosciuto del ministero presbiterale del Cafasso: l’attenzione verso i carcerati. Ugo Pozzoli Il riassunto di una vita G iuseppe Cafasso nasce a Castelnuovo d’Asti (ora Castelnuovo Don Bosco) il 15 gennaio 1811; muore a Torino il 23 giugno 1860. Beatificato nel 1925 (la causa fu seguita attentamente e con grande devozione dal nipote, il futuro beato Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata), venne canonizzato nel 1947 da papa Pio XII che lo nominò patrono dei carcerati e dei condannati alla pena capitale. È consi- derato la «perla del clero piemontese» per la sua eccezionale testimonianza di vita cristiana e pre- sbiterale. Nato da una famiglia di modesti agricoltori,profon- damente religiosi, dopo la scuola pubblica il gio- vane Cafasso frequentò il seminario di Chieri. Nonostante non fosse uno studente particolar- mente brillante, fu ordinato sacerdote all’età di 22 anni. Le biografie del Santo ci tramandano l’immagine di un uomo di carattere riservato, dal parlare gentile e di aspetto gracile, leggermente curvo di spalle, così come viene presentato nella maggior parte dei quadri che lo rappresentano. Fece parte del Convitto ecclesiastico torinese di- retto dal teologo Luigi Guala. In quell’ambiente (si trovava allora presso la chiesa di San Francesco d’Assisi, in pieno centro città) fu accolto come al- lievo, per divenire poi insegnante di teologia mo- rale e direttore spirituale. Nel 1848, infine, ne prese le redini come rettore. Fu abile nella predicazione, attento alla realtà che lo circondava e, soprattutto, ai bisogni dei più po- veri. Fu consigliere, benefattore e amico di Don Bosco, suo conterraneo, che incoraggiò a dare il meglio di sé nella pastorale giovanile a cui aveva iniziato a dedicarsi, indirizzata particolarmente verso i ragazzi poveri, abbandonati, immigrati, analfabeti e sfruttati. La sua oratoria, che lo faceva apprezzare tra la gente, spinse i notabili del capo- luogo subalpino a chiedergli di candidarsi in poli- tica. Il Cafasso rifiutò. Il suo compito e la sua mis- sione si rispecchiavano esclusivamente nel mini- stero sacerdotale e di questo doveva rendere conto a Dio. Nel suo ministero presbiterale stava vicino ai car- cerati e alle loro famiglie; non di meno assisteva negli ultimi momenti i condannati a morte. A tutti loro offriva parole di speranza, ravvedimento, e anche dei buoni sigari. Per questa sua mansione di ultimo conforto presso il patibolo fu definito «il prete della forca». Icona ad opera di P. Orazio Anselmi, dedicata a San Giuseppe Cafasso.
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