Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2010

DALLA BIBBIA LE PAROLE DELLA VITA (48) (LC 24,46) a cura di Paolo Farinella biblista Così sta scritto 24 MC LUGLIO-AGOSTO 2010 «In principio Dio creò il cielo e la terra … e in princi- pio era il Lògos» (Es 4,20). Dopo dodici puntate di introduzione, tralasciando tutti gli altri problemi riguardanti la critica testuale, l’analisi letteraria e gli approfondimenti relativi, che ci porterebbero a comporre un trattato solo sul racconto di Cana, crediamo utile passare all’analisi del testo che vorremmo gustare parola per parola. Per il credente, lo studio della Parola è preghiera perché diventa carne e sangue, fondamento e prospettiva di vita. L’ ALFABETO DELLA P RESENZA La Parola di Dio che attraversa il nostro cuore, puri- ficandolo e convertendolo, ritorna da dove è venuta, come la pioggia che scende dal cielo a bagnare la terra che a sua volta la restituisce al cielo in forma di vapo- re, di nubi e nuova pioggia. Lo descrive in modo impa- reggiabile il profeta Isaia: « 10 Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi se- mina e il pane a chi mangia, 11 così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10-11). A) Studiare è sacrificio gradito La Parola di Dio è l’alfabeto con cui parlare la lingua nuova della Presenza/Shekinàh di Dio e della fede in lui. Per gli Ebrei lo studio della Toràh dispensava sia dal la- voro che dall’osservanza dei precetti perché lo studio della Scrittura era paragonato ad un giogo impegnati- vo e pesante come insegna Rabbi Ne’hounia ben Hakàna che diceva: «A colui che accetta il giogo della legge, sa- ranno risparmiati il giogo del Regno ed il giogo delle preoccupazioni del mondo» ( Pirqè Avòt/Massime dei Pa- dri III,5). Quando un non ebreo chiedeva di convertir- si all’ebraismo, per scoraggiarlo gli si spiegava come fosse duro portare il giogo della Toràh ( Talmud Babilone- se, Berakòt 30b). Il giogo però indica anche la fatica quotidiana dello studio della Toràh ed equivale all’os- servanza di tutti i comandamenti presi nella loro tota- lità (cf Mishnàh, Pèah/Angolo, 1,1; Talmud Babilonese, Shabàt 127a). Gesù presenta il suo messaggio come «un giogo buono/facile [da portare] e leggero» (Mt 11,30). Non solo, ma la tradizione giudaica va ancora oltre: lo studio della Toràh ha un valore espiatorio e sacrificale: «Colui che si dedica allo studio della Toràh è come se a- vesse offerto lui stesso un olocausto, una offerta o un sacrificio per la remissione della colpa» ( Talmud Babilo- nese Menahòt 110a); oppure: «Studiare la Toràh è più grande che salvare vite umane» ( Talmud Babilonese Me- gillàh 16b). B) Fare la corte a Dio Non è sufficiente leggere la Bibbia, bisogna « re -stare» su di essa per cogliere la verità di noi e la verità di Dio: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei disce- poli» (Gv 8,31) e « re -stare» vuol dire «stare saldamente ancorati» in virtù del rafforzativo «re-». Dalla lunga in- troduzione, i nostri lettori avranno compreso che leg- gere, pregare e accogliere la Parola di Dio è cosa seria ed esige tempo, intimità, fatica, pazienza. Accostarsi al- la Bibbia non è leggere un racconto edificante per im- parare qualcosa, ma educarsi ad un rapporto d’amore, frequentare una conoscenza d’intimità, imparare ad es- sere innamorati, apprendere a «fare la corte» a Dio, la- sciandosi sedurre dalla Parola che è il Lògos, Gesù di Nàzaret, il Figlio del Padre (cf Ger 20,7). Pregare stanca anche fisicamente perché lo studio impegna energie, volontà, sentimenti, fantasia, emozio- ni, anima e corpo. Alla Parola bisogna offrire il tempo più bello della giornata, mai gli scarti, perché è un rap- porto di conoscenza e di amore che allarga il cuore ad un amore sempre più senza confini. Lo studio e la pre- ghiera, infatti, non sono incontri fugaci di prostituzio- ne, ma profondi aneliti d’amore vissuti in un dinamico e intimo contesto d’amore. Quando releghiamo Dio e la sua Parola ai margini del nostro tempo «per adem- piere al nostro dovere», noi annulliamo il patto nuziale di alleanza, diventiamo mercenari interessati e mer- canti di religione. I L TESTO E LA TRADUZIONE LETTERALE Leggiamo il testo del racconto di Cana nella duplice versione: quella della Cei (edizione 2008) e quella let- terale che proponiamo noi: I L RACCONTO DELLE NOZZE DI C ANA (14) CANA: RILETTURA CRISTIANA DI GENES I

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