Missioni Consolata - Maggio/Giugno 2010

tro gli ultimi fazzoletti ver- di, uccidono la bellezza, uc- cidono la speranza, uccido- no il futuro dei loro figli. Domenico Di Roberto Fano Caro lettore, lei ha ragione. Il proble- ma della deforestazione ad Haiti è particolarmente grave. Ma la causa non è così banale. Non è storia di questi giorni, ma di tre se- coli di sfruttamento selvag- gio (già durante la colonia, XVIII sec.) e cattiva gestio- ne dell’ambiente (dall’indi- pendenza, 1804), soprat- tutto da parte di chi ha go- vernato e non tanto a cau- sa dei poveri. Il disbosca- mento senza controllo eb- be grande impulso soprattutto negli anni dei Duvalier (1957-1986). È ve- ro che ancora oggi gli hai- tiani hanno come principa- le sorgente energetica per cucinare il fuoco a legna. Ma questo, oltre che ad essere unmetodo tradizio- nale, è causato dal fatto molto più generale di aver tenuto per 200 anni un in- tero popolo nellamiseria, escluso da un qualsiasi pro- getto di società. Qualche i- niziativa positiva è comun- que da segnalare. Diversi sono i progetti di riforesta- zione in corso, tra i quali quello del padremissiona- rio Jean-Yves Urifé. Questo prevede che siano gli allievi delle scuole a fare vivai e piantare alberi. Con un du- plice effetto educativo ol- tre che reale. Anche la Fao, il cui direttore generale ha visitato Haiti il 14marzo, si dovrebbemuovere in que- sto senso. Il rappresentante della Fao ad Haiti, Ari Tou- bo Ibrahim, ha promesso la distribuzione imminente di 11milioni di piante da frut- to e a crescita rapida. Ma.B. anche la qualità dell’aria, quella dell’acqua, quella del suolo, quindi il dovere di proteggerle, viene prima del diritto di sfruttarle. I ricchi – politici, finan- zieri, azionisti delle grandi societàmultinazionali, a cominciare da quelle del comparto agroalimentare – hanno l’obbligomorale di restituire ciò che hanno ru- bato imponendo le mono- colture agrarie e condizioni di vita e di lavoro assoluta- mente insostenibili; i pove- ri devono capire che, sfo- gando la propria rabbia, la propria frustrazione, la propria disperazione con- redazione@rivistamissioniconsolata.it MC MAGGIO-GIUGNO 2010 7 POVEROGRANDE CILE N eanche il tempo di lasciar sedimentare nelle nostre coscienze le drammatiche immagini del terremoto di Haiti che giungevano sugli schermi televisivi, che a distanza ravvicinata un’altra tragedia si abbatteva sul Cile. Cile terra dolce e aspra, tenera e tormentata, in cui lamae- stosità della Cordigliera delle Ande si specchia nell’immen- sità dell’Oceano Pacifico e dove lungo i suoi oltre quattromi- la chilometri di estensione si alternano tutti i paesaggi ed i climi possibili ed immaginabili del pianeta. In questo paese si è scatenato un terremoto dalla violenza terrificante, di cui a tutt’oggi non si sa ancora quante vittime abbia provocato. Cile, terra di uomini orgogliosi della loro dignità, dove i nativi precolombiani, i mapuches , diedero filo da torcere ai conqui- stadores spagnoli che non riuscironomai a soggiogarli del tutto. Nazione dove l’ansia di libertà ha sempre prevalso sul- le mire golpiste dei Pinochet di turno, al soldo (come sem- pre!) di interessi economici del grande capitale internazio- nale. Terra di forti contrasti, ma anche di delicati e splendidi cantori e poeti, ricordiamo che gli unici premi Nobel cileni: GabrielaMistral e Pablo Neruda, sono entrambi poeti, tra i più grandi della letteratura di lingua spagnola. Accanto a lo- ro, nel vasto giardino letterario del Cile, spiccano altre figure straordinarie come l’eclettico Luis Sepúlveda e l’esuberante Isabel Allende, gente che hanno alimentato riflessioni e so- gni di intere generazioni. La poesia - come si sa - è fortemen- te intrecciata con lamusica, e per quanto riguarda il campo musicale cileno lamente corre subito alle canzoni degli Inti Illimani. Difficile non pensare a tanti appuntamenti studen- teschi e giovanili (ma potremmo aggiungere «grest» orato- riani e campi scuola parrocchiali) dove bastava il suono di u- na chitarra dalle note malferme inmani acerbe, per scatena- re l’entusiasmo e la partecipazione di tutti, non appena si accennava al ritornello: «El pueblo unido jamàs serà venci- do». Le cassette degli Inti Illimani venivano duplicate e fatte girare tra gli amici diffondendosi amacchia d’olio; così quel- la lontanamusica andina, che armonizzava il suono strug- gente del charango (laminuscola chitarra dalla cassa armo- nica ricavata dalla corazza dell’armadillo) con le melodie si- nuose che uscivano da flauti di bambù dal sapore arcaico, contribuiva a diffondere tra i giovani del mondo intero, suo- ni e canti lontani, che evocavano sensazioni che sembravano provenire dalle viscere della terra. Tutto ciò si fissava nel cuore di una generazione che sognava di cambiare il mondo. Forse il riferimento più bello ed incisivo che resta nella co- scienza di chi vibrò intensamente per la libertà del popolo ci- leno dopo il golpe del generale Pinochet è la figura di Victor Jara, ovvero l’esponente più illustre e significativo della Nue- va Canción Chilena , unmusicista le cui canzoni inneggianti alla libertà, alla giustizia e all’impegno sociale verso i poveri, erano diventate la colonna sonora di gran parte delle mani- festazioni popolari di quei tempi; arrestato, incarcerato, im- prigionato nello stadio di Santiago perché le prigioni di tutto il paese erano gremite di prigionieri politici, venne torturato inmaniera brutale e con sadico furore gli furono fracassate le dita delle mani affinché non fosse mai più in grado di suo- nare la chitarra. Victor Jara, per le percosse subite, morì po- chi giorni dopo il golpe di Pinochet; le sue canzoni rimasero inni di libertà che continuarono ad essere suonati «nelle ca- tacombe» da coloro che non si arrendevano ai soprusi e alle ingiustizie di una dittatura folle e infame. È bello sottolineare come lamusica e la poesia quando di- ventano patrimonio di un popolo che anela alla libertà, fan- no più paura ai tiranni, della lotta armata e delle pallottole, una lezione da tenere sempre presente. Don Mario Bandera,Novara Dopo il reportage MC di aprile 2010

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