Missioni Consolata - Maggio/Giugno 2010

64 MC MAGGIO-GIUGNO 2010 BRASILE N elle fazendas gli emigrati era- no sistemati in casupole, ba- racche, di legno o in muratu- ra. Materassi erano per lo più costi- tuiti da sacchi di tela riempiti di paglia. Le condizioni di vita nelle fa- zendas erano difficili o almeno poco confortevoli. In accordo con il contratto stipula- to con il padrone, già nell’hospeda- ria, il colono veniva pagato per l’am- montare di caffè raccolto più un sa- lario per ogni giorno di lavoro.Una famiglia doveva occuparsi da unmi- nimo di 2.000 fino a 15mila alberi di caffè. Ecco allora che lavoravano tut- ti: piccoli e grandi. Era concesso loro di coltivare ortaggi per il sostenta- mento quotidiano. La giornata di la- voro iniziava prestissimo e poteva durare anche 14 ore. Inoltre, i coloni erano costretti ad acquistare i generi di prima neces- sità nello spaccio della fazenda , a prezzi più alti, non potendo recarsi altrove a causa della distanza e della mancanza di mezzi di trasporto. «Soltanto da un punto di vista si poteva affermare che le condizioni degli immigrati fosseromigliori che in Italia: l’alimentazione. Sebbene sia vero che nel primo anno, il consumo era razionato (la farina di grano era un lusso e si mangiava carne al mas- simo due volte al mese),ma dopo il raccolto, le cosemiglioravano e nella tavola della famiglia del colono comparivano, oltre alla polenta, al ri- so e ai fagioli, anche la carne di por- co, le verdure e il pollo» (4). Numerose furono le denunce per maltrattamenti contro fazendeiros violenti e senza scrupoli, ancora abi- tuati ai disumani metodi usati con gli schiavi. Oltre a ciò, i coloni soffrirono per l’isolamento sociale cui la vita nelle fazendas li costringeva:mancavano scuole, chiese, centri medici. Ad un certo punto, le notizie che giungevano dagli immigrati in Brasi- le furono talmente negative che il governo italiano proibì l’emigrazio- ne «sovvenzionata» (Decreto Prinet- ti, 1922) con il quale si sospendeva la licenza speciale a compagnie di na- vigazione per il trasporto gratuito di emigranti italiani in Brasile. Furono molti a far ritorno in patria. Tuttavia, non tutti finivano nelle campagne: chi possedeva una pro- fessione - muratori, fabbri, falegna- mi, tessitori,pastai, ecc. - cercava di stabilirsi in città. N egli anni ‘30 del ‘900 si chiude il ciclo di immigrazione verso le aree dove veniva coltivato il caffè, e si apre un’altra fase: lo spo- stamento verso le città, San Paolo in testa. Dei circa 5milioni di stranieri en- trati in Brasile tra il 1870 e il 1940, ol- tre il 50% arrivarono nello stato di San Paolo, soprattutto gli italiani - ben 950mila - che entro la Prima guerra mondiale costituivano un quarto della popolazione. Gli italiani si erano stabiliti, a mano a mano, in diversi quartieri della città - Bràs,Mooca, BomRetiro e altre zo- ne -, raggruppandosi per regione di origine. L’immigrazione italiana in Brasile fu un fenomeno di notevoli propor- zioni, e a mano a mano che la pre- senza dei nostri connazionali au- mentava, il paesemodificava abitu- dini e usanze.Nello stessomodo in cui, d’altronde, gli italiani modifica- G li italiani immigrati in Brasile crearono associazioni di vario tipo: culturali, artistiche,musicali, sportive, educative, sociali e di beneficenza. Nel 1897 ce n’erano 98 che nel 1908 arrivarono a 170. Quelle di «mutuo soccorso» offrivano assistenza medica e sociale, e accoglienza dei compatrioti immigrati. Ecco alcuni nomi: «Calabresi Riuniti», «Subalpina», «Veneta San Marco», «Lega Lombarda», «Meridionali», «Circolo i- taliano». Sorsero anche diverse scuole italiane, tra cui il «Colégio Dante Alighieri», a San Paolo. Le tradizioni religiose erano e sono molto sentite, così come le celebrazioni patronali di ogni comunità regiona- le: nel quartiere Mooca, di San Paolo, i discendenti dei napoletani celebrano ancora la festa di San Gennaro. Sulle abitudini degli italiani in Brasile così è stato scritto. «L e colonie italiane, localizzate in vaste aree non an- cora popolate e nelle quali le comunicazioni erano estremamente difficili, furono caratterizzate dall'isola- mento rurale. Questo fatto fu determinante per la con- servazione della cultura, degli usi e dei costumi della re- gione di origine. Un esempio evidente è la presenza del- l'architettura veneta, case di legno con i tetti inclinati, costruiti in modo da far scivolare la neve in inverno. Completamente inutili in territorio brasiliano, questi ele- menti architettonici furono tuttavia conservati nelle co- lonie venete situate al Sud del paese, come simbolo di appartenenza culturale. Altri elementi si riscontrano nella struttura familiare stessa, di tipo patriarcale, che rispecchiava le caratteristi- che tradizionaliste e cattoliche della società veneta della fine del XIX secolo. Inizialmente poco numerosa, la colo- nia crebbe rapidamente grazie all'alto grado di fertilità che caratterizzava le famiglie che la componevano,me- diamente con 10 figli ciascuna. Riguardo all'alimentazione, oltre alla polenta, si manten- ne l'abitudine di mangiare il pane e il lardo; è opportuno, tuttavia, osservare l'adozione di un'abitudine alimentare brasiliana e specialmente dei paesi del Sud del Brasile: il consumo di carne la domenica sulle tavole degli immi- grati. Furono mantenuti alcuni divertimenti familiari co- me il gioco delle carte, le bocce e la «morra». Tuttavia, l'elemento più forte di questa resistenza cultu- rale è certamente la sopravvivenza del dialetto veneto: ancora oggi, nelle zone di antica colonizzazione italiana vi sono prestiti linguistici da questo dialetto. Contribuirono a questo processo di perpetuazione delle tradizioni non solo l'isolamento rurale delle colonie,ma anche, evidentemente, la provenienza omogenea degli immigrati e l'assenza di una rete scolastica brasiliana. È opportuno osservare l'importante ruolo svolto dalla Chiesa cattolica nelle colonie, con la presenza dei cap- puccini, dei salesiani, degli scalabriniani e di altri ordini religiosi,molto spesso originari delle stesse regioni degli immigranti». Angela Lano (1) Da «La grande immigrazione: Ciao Brasile/Tchau Ità- lia». www.ambasciatadelbrasile.it PER MANTENERE 10 FIGLI... I MIGRANTI PORTAVANO CON LORO CULTURA E TRADIZIONI DEL PAESE NATALE Diverso paese, stesse abitudini

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