Missioni Consolata - Maggio/Giugno 2010

MISSIONI CONSOLATA T ra il 1820 e il 1940 giunsero in Brasile oltre 1,5 milioni di nostri connazionali.Accolti al porto di Santos, venivano messi in quarante- na, disinfettati, lavati, curati, nutriti, e poi dirottati nelle piantagioni di caffè. Perché i nostri compatrioti emi- gravano? Per le stesse ragioni per cui tanti immigrati giungono nel nostro Paese e nel resto dell’Europa occi- dentale, oggi:miseria, guerre, spe- ranza in un futuromigliore per sé e per i loro figli. Il forte aumento demografico, la riunificazione dell’Italia, le condizioni geografiche emorfologiche della penisola, che ostacolavano la diffu- sione dell’agricoltura, furono tra le cause che indusseromolti italiani ad andarsene, tra Ottocento e prima metà del Novecento. Per tutto l’Ottocento, la popolazio- ne italiana rimase essenzialmente rurale, con sacche di manodopera nelle industrie delle principali città. Le condizioni generali erano pessi- me, e la miseria imperversava ovun- que. Le terre agricole erano inmano ai latifondisti o a pochi piccoli pro- prietari. Dopo l’unità d’Italia, i contadini fu- rono costretti a pagare imposte su tutta la produzione agricola e anche per gli animali da allevamento. I contadini e i piccoli produttori si indebitavano per pagare le tasse, fi- no a ridursi alla miseria. «L’avidità del governo era tanto grande che, in certe regioni, si arrivava a pagare fi- no al 31%di tutto ciò che era pro- dotto. Con le imposte elevate, i gran- di agricoltori offrivano i prodotti a prezzo inferiore rispetto al mercato. Impoveriti, indebitati e senza alter- nativa, i piccoli proprietari abbando- navano la terra e si recavano nelle città, trovando altri nuovi problemi: disoccupazione, emarginazione e fa- me. L’emigrazione dunque diventò non solo l’unica possibilità di so- pravvivenza di questa popolazione, ma anche una valvola di sfogo per ri- solvere quei problemi. Il governo ita- liano finì con l’incentivarla.Una par- te del popolo doveva emigrare affin- ché un’altra potesse sopravvivere» (1).Dunque, la povertà, la miseria, fu- rono le cause per l’emigrazione di massa degli italiani. I l viaggio verso il Brasile era lun- ghissimo: molti raggiungevano a piedi, con fagotti o vecchie valigie, il porto di imbarco (Genova,Trieste, Napoli, Palermo, o altri, all’estero).Al- tri trasportavano le propriemisere mercanzie su carretti. Per ottenere i documenti di viag- gio, i migranti erano costretti a ven- dere le poche cose che possedeva- no, o a fare debiti. Ieri come oggi, persone o organizzazioni criminali fornivano a pagamento i certificati necessari per l’imbarco. Navi cariche di centinaia, anche un migliaio, di persone solcavano l’o- ceano per diverse settimane dirette ai porti di Santos o di Rio de Janeiro. MC MAGGIO-GIUGNO 2010 61 Gli immigrati viaggiavano quasi sempre in terza classe, in condizioni igienico-sanitarie pessime, e lema- lattie contagiose scoppiavanomolto facilmente trasformandosi in epide- mie che seminavanomorte. Una volta sbarcati, stanchi, spor- chi, e taluni anchemalati, i migranti venivano accolti nelle «Hospeda- rias», ostelli (centri di accoglienza e smistamento lavorativo).Per esem- pio, la Hospedaria da Ilha das Flores , a Rio de Janeiro. La destinazione finale della maggior parte degli immigrati italiani era lo stato di San Paolo e gli stati del Sud. «Prima della costruzione della fer- rovia, gli immigrati che sbarcavano al porto di Santos, andavano a piedi o sui dorsi di muli,per strade di terra, fino al luogo di destinazione.Con l’i- naugurazione della ferrovia“São Paulo Railway”, nel 1867, che collega- va Santos a Jundiaì, il trasporto ven- A destra: collage di foto di immi- granti ospitati nella Hospederia dos immigrantes, a San Paolo. Pagina accanto: donne e bambini nel dormitorio della Hospederia dos immigrantes.

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