Missioni Consolata - Maggio/Giugno 2010
I GRANDI MISSIONARI teologico, parlano di Dio, della sua a- zione nel mondo e nella storia. Inoltre, le scienze hanno una fun- zione apologetica. Per dare credito all’annuncio del vangelo, in una so- cietà orgogliosa come quella cinese, che si crede l’unico popolo «civiliz- zato» e considera tutti gli altri «bar- bari», il Ricci dimostra inmodo con- vincente che esiste un’altra civiltà al- trettanto importante, capace di sviluppare le potenzialità di quella cinese. Il metodomissionario adot- tato dal missionariomaceratese og- gi viene chiamato dialogo tra le cul- ture, incontro tra le civiltà, incultura- zione del vangelo... Di tale strategia missionaria il Ricci è stato pioniere e rimane modello insuperato. Prima di evangelizzare la cultura, vi si è incarnato egli stesso, riconoscendovi ogni elemento di bene, riuscendo così a dimostrare e convincere con la propria vita che chi abbraccia il cristianesimo non manca di lealtà verso il proprio pae- se e non deve affatto ripudiare le tradizioni nazionali, anzi, ne manife- sta il valore e ne porta a compimen- to le potenzialità nascoste. «Sono i cinesi di bello ingegno naturale e a- cuto... - scrive in una delle sue ulti- me lettere nel 1609 al Francesco Pa- sio, già suo antico compagno e da poco suo superiore, come successo- re del Valignano nell’ufficio di visita- tore -. Se potessimo insegnare loro le nostre scienze, non solo riuscireb- bero in esse uomini molto eminenti, ma anche per mezzo di esse li indur- remmo facilmente alla nostra santa legge e mai si scorderanno di un be- neficio sì grande». Tempo di semina Di tale riconoscenza Xitai, il «Mae- stro del grande Occidente», gode già da vivo. L’imperatore non lo la- scia neppure allontanarsi dalla capi- tale; grazie ad amici e dignitari ottie- ne i permessi necessari per esercita- re la sua missione: può celebrare messa in pubblico, comperare una grande casa a sud di Pechino, fare arrivare altri 40 confratelli e costrui- re una «chiesuola, nella quale ven- gonomolti cristiani e molti nobili per la curiosità di vedere le belle im- magini che vi sono esposte - scrive al fratello canonico Antonio Maria nel 1608 -. E con questa occasione, senza uscire di casa, predichiamo ai nobili, e alcuni si convertono;ma la maggior parte resta nella propria legge, per essere più liberi.Ma a po- co a poco, con l’operato dei nostri ammansirà i loro cuori.Già abbiamo 2 mila cristiani, tra cui molti lettera- ti». Un altromigliaio è nelle altre sta- zioni da lui fondate. Ma la sua opera non può essere valutata in termini aritmetici; la sua strategia non è fatta per dare «frutti» immediati,ma va misurata su di- stanze più lunghe. Fin dall’inizio del- la sua missione, il Ricci è consapevo- le che nel contesto cinese è impossi- bile promuovere conversioni in massa; deve contentarsi di costituire piccole comunità ai margini della società. In una delle sue ultime lette- re, scrive al padre Claudio Acquavi- va, superiore generale della Compa- gnia di Gesù: «Nonmi domandi vo- stra reverenza quante miglia di anime ho convertito,ma solo a quanti milioni di uomini abbiamo fatto udire la prima volta questa an- tichissima notizia, che nel cielo vi è un Dio creatore del cielo e della ter- ra; alla qual notizia molti vanno al- zando gli occhi». Rispondendo nel 1599 a padre Costa, che gli augura di ottenere tante conversioni, scrive: «Il tempo in che stiamo della Cina non è anco- ra di raccolta, anzi né di seminare, ma di aprire i boschi fieri e combat- tere con le fiere e serpi velenose che qua dentro stanno.Altri verranno con la grazia del Signore che scrive- ranno le conversioni e fervori de’ cri- stiani; ma sappi che fu necessario prima fare questo che noi facciamo, e ci hanno da dare a noi la maggior parte del merito». E la semina continua.Nel 1609, in- sieme ai suoi confratelli, il Ricci fon- da la confraternita dedicata a Maria Santissima Signora del Cielo e dà ini- zio ai lavori per costruire una chiesa più grande, destinata a diventare la cattedrale di Pechino,ma non la ve- drà ultimata. Intanto continua ad accogliere i visitatori e a contraccambiare le visi- te, secondo il galateo cinese: un im- pegno che lo sottopone a un pro- gressivo logoramento fisico, come scrive nel 1607: «Quanto a me, sto già nei 55 anni, assai affaticato con questa impresa sì travagliosa nella quale sto da 25 anni in circa... Io nel vero non posso permettermi molti anni, e già sto bianco tutto, e questi cinesi si meravigliano che in età non molto avanzata io sia sì vecchio è fi-
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