Missioni Consolata - Maggio/Giugno 2010
MISSIONI CONSOLATA MC MAGGIO-GIUGNO 2010 33 private che offrano davvero una formazione di livello soddisfacen- te (in un mare di scuolette improv- visate e spesso truffaldine), som- mata alle già citate condizioni infi- me del mondo del lavoro, si ripercuote in modo negativo sulla stessa questione della sicurezza. Se uccidere costa soltanto 500 pesos In Messico, oggi, ogni 48 minuti viene ucciso qualcuno per ragioni inerenti al narcotraffico. La gente spesso, prima, si chiedeva quanto guadagnasse un assassino al ser- vizio dei grandi clan ( los carteles ) della droga, poi un giorno tutti sia- mo rimasti allibiti davanti alla vio- lenta verità delle cifre: appena 500 pesos alla settimana, qualcosa co- me 100 euro al mese. Uccidere, de- capitare, evirare, sciogliere nell’a- cido, carbonizzare per l’equivalente di 666 biglietti della metropolitana o 40 entrate al ci- nema... Dietro i più di 1.000 mor- ti che abbiamo registrato dall’ini- zio del 2010 fino al 4 febbraio, in poco più di un mese, non si na- sconde una montagna di soldi, piuttosto la miseria fisica e mora- le di chi, privato di ogni pudore e privo del senso di quei valori di cui dovrebbero farsi garanti la fami- glia e la scuola, non è più capace di dare un peso alle proprie azioni e un significato alla vita, alla pro- pria e a quella degli altri. Se è ovvio che non possiamo e non dobbiamo avallare la facile equazione «povertà = criminalità», è pur sempre vero che la miseria, in tutte le sue manifestazioni, è l’humus ideale per l’illegalità e per la violenza. Nei primi 3 anni della presidenza di Felipe Calderón, il narcotraffico (da solo, senza con- tare la delinquenza comune, gli in- cidenti stradali e quelli domestici e sul lavoro) ha fatto più di 15.000 morti. Sí, avete letto bene, quindi- cimila. Neanche in Afghanistan, neanche in una guerra convenzio- nale. E questo, perché? Perché se la vita non vale nulla, la morte va- le ancora meno. Si tratta, ancora una volta, di una questione di ingiustizia. Ingiustizia sociale - che provoca rabbia, sfiducia, perdita del senso di appartenenza, emarginazione, espulsione – e ingiustizia penale, perché tra silenzio, omertà, corru- zione, paura e indifferenza, i cri- mini che arrivano ad essere ogget- to del giudizio di un tribunale rap- presentano solo il 3% di tutti quelli perpetrati. Ingiustizia e basta, sen- za tante specificazioni, perché quando un ragazzo è disposto a uccidere in cambio di niente, biso- gna cominciare a riflettere seria- mente. Bisogna interrogarsi sui vuoti di responsabilità e sulla ne- gligenza di un’intera società. Allora verrebbe da chiedersi: perché in Messico? Ovvero: perché continuare a vivere in un paese al- la deriva, apparentemente senza una rotta da seguire, completa- mente abbandonato a se stesso? Perché tante persone, donne e uo- mini, investono ancora tante ener- gie per mantenere in vita un bar- lume di speranza in questa terra di nessuno? Dove siede la speranza Forse perché in questo strano paese, figlio di una rivoluzione che compie 100 anni – la prima del XX secolo – e che non ha lasciato un’e- redità chiara, c’è ancora una fron- tiera da conquistare, e questa sot- tile linea d’ombra la vedono anco- ra in molti, e tutti quelli che la vedono, sono ancora disposti a camminare. Sono proprio gli studenti univer- sitari che dibattono il loro ruolo di fronte all’aggressione permanente del crimine organizzato; sono le comunità indigene che ancora si oppongono allo sfruttamento sel- vaggio delle risorse naturali; sono le donne che lottano per la propria dignità politica e sociale, per i pro- pri diritti sessuali e riproduttivi; so- no gli omosessuali che a Città del Messico conquistano, metro a me- tro, il riconoscimento di una so- cietà storicamente maschilista e omofoba; sono i gruppi isolati di professori che ancora sono capaci di sognare ad occhi aperti una scuola democratica, aperta ed at- tenta alle necessità degli ultimi; so- no gli uomini e le donne, presenti in tutti i partiti, che ancora credo- no in un ruolo virtuoso della poli- tica; e i sacerdoti, i religiosi, i po- chi ma coraggiosissimi vescovi che non hannomai perso di vista il ruo- lo centrale della chiesa in questa resistenza a oltranza di fronte a una crisi che va ben oltre i confini materiali dell’economia; sono i po- liziotti onesti malgrado tutto, i fun- zionari onesti malgrado tutto, i la- voratori che ancora hanno la forza di sperare, alle 4 del mattino, quando fuori è ancora notte, mal- grado tutti e tutto; sono gli occhi innocenti dei nostri figli, i loro sor- risi, le loro piccole mani che cerca- no sicurezza nelle nostre. Sono tut- ti loro, insieme, che ci mantengo- no vivi dentro, e ci fanno alzare ancora all’alba per affrontare il giorno, con la speranza intatta, più forte di ogni stanchezza, convinti come siamo che presto questo grande paese, il Messico, saprà conquistarsi un posto in quel tan- to agognato primo mondo, che non è certo quello neoliberale del- la ricchezza e delle infrastrutture che piacciono tanto ai ricchi, quan- to quello della giustizia che è il fio- re all’occhiello di una società civi- le finalmente protagonista e re- sponsabile. ■
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