Missioni Consolata - Maggio/Giugno 2010

MISSIONI CONSOLATA MC MAGGIO-GIUGNO 2010 31 lottano quotidianamente con l’au- mento incessante dei prezzi, gli uomini e le donne che, alla soglia dei 40 anni, si aggrappano al lavo- ro che hanno, spesso mal pagato e con orari che in qualsiasi altro paese del mondo sarebbero im- pensabili, perché sanno che per lo- ro non ce n’è un altro disponibile, non in questa società - per lo me- no - che scarta sistematicamente tutti coloro che non siano più gio- vani... Tutti loro, dal primo all’ulti- mo, sanno come vanno veramente le cose e misurano, con il peso cre- scente dell’esistenza quotidiana, la distanza tra i fatti e le parole. Sarà anche un fenomeno globa- le, ma in questo Messico che sci- vola inesorabilmente nella classi- fica dei Paesi più ricchi della terra, il detto «mal comune mezzo gau- dio» non ha più un senso. Qui ognuno pensa soltanto a se stes- so. Ed è forse proprio il tema del- la corresponsabilità che fa più breccia, in questo momento, nel cuore e nella mente di quelli che potremmo chiamare, e con ragio- ne, gli uomini e le donne di buona volontà. Che possiamo fare per uscire da questa situazione asfis- siante? Come possiamo incidere in situazioni che sfuggono comple- tamente al nostro controllo? La gente comincia a pensarci, i giovani studenti iniziano – timida- mente, ma sempre più numerosi – a interrogarsi e a mettersi in di- scussione. Cercano nell’esperien- za degli altri, nelle parole dei testi- moni, quelle energie necessarie per riportare il concetto svilito di «solidarietà» nei ranghi più oppor- tuni di una vera e propria assun- zione di responsabilità. Si tratta senza dubbio di un momento dif- ficile, ma - come tutti i momenti difficili - appare anche come un’oc- casione irripetibile per ricostruire la coscienza morale e civile di un intero paese. Quando Francesco Forgione – ex presidente della Commissione an- timafia del parlamento italiano -, incontrando i ragazzi e le ragazze che formano il gruppo di ricerca Li- bera Universidad dell’Università del Claustro de Sor Juana, a Città del Messico, ha raccontato del mo- to di sdegno che si impadroní del- l’Italiaall’indomanidell’attentatodi Capaci, qualche studente ha co- minciato a chiedersi come fosse possibile che, dopo non una, ma una caterva di morti violente, in questo Messico lindo y querido nessuno sembrava capace di indi- gnarsi. Una vicenda emblematica: la chiusura di Luz y Fuerza Nel tran tran della vita quotidia- na, sembra che abbiamo perso la capacità di sentire qualcosa per quello che succede agli altri; sem- bra quasi che, presi come siamo dai nostri innumerevoli problemi, non siamo più capaci di sentire co- me nostri quelli degli altri. Sarà for- se per questa ragione che quando – alla fine dell’annopassato – il go- verno ha deciso di chiudere Luz y Fuerza (una delle due imprese pubbliche che si occupava della gestione dell’energia elettrica), la- sciando in un sol colpo a casa più di 40.000 persone, alla gente è sembrato perfino giusto. Quaran- tamila famiglie fuori dal sistema produttivo, in nome dell’efficienza dell’apparato pubblico, dell’otti- mizzazione delle risorse e, soprat- tutto, per far fuori dal gioco un in- tero sindacato scomodo che, con le proprie macchinazioni interne, non permetteva un corretto svi- luppo delle politiche energetiche del governo. Non ci vuole un genio per capire che il gioco non valeva la candela, e neanche un santo o un rivoluzionario per comprende- re che certe cose in una democra- zia non dovrebbero mai accadere, però un numero enorme di lavora- tori è stato comunque sacrificato sull’altare dei nuovi valori del neo- liberalismo, e non solo nessuno ha mosso un dito o alzato la voce in loro difesa, ma molti, moltissimi, si sono perfino infastiditi quando quei poveri disgraziati, molti dei quali non più giovani e dunque fuori dal mercato del lavoro, si so- no ritrovati in mezzo a una strada con una misera liquidazione tra le mani. Di fronte alle loro manife- stazioni, ai loro blocchi stradali, ai loro slogan disperati di lotta an- ch’essa disperata, i loro concitta- dini, membri della stessa comu- nità, tutelati – si suppone – dalla stessa costituzione repubblicana, hanno invocato l’intervento della forza pubblica, hanno voltato lo sguardo da un’altraparte, li hanno insomma lasciati soli con la loro di- sperazione e il loro incolmabile senso di ingiustizia. Sì perché questo, come molti al- tri paesi del mondo, è il paese del- l’Ingiustizia.Sociale, civile, penale, ma sempre e comunque Ingiusti- zia. E come può, utilizzando le pa- role pronunciate da Giuseppe Car- lo Marino davanti a una platea at- tonita di giudici messicani, come può un paese ingiusto combattere e vincere la battaglia per la Giusti- zia? Semplicemente, non può. Sarà per questo che il presiden- te Calderón sembra aver perduto la bussola della politica. Accusato, anche nelle file del proprio partito A destra: rilievi della polizia sulla sce- na del crimine a Ciudad Juárez. Pagina accanto: il presidente Felipe Calderón; sotto, veduta dall’alto di Plaza de la Constitución, nota come Zócalo, a Città del Messico.

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