Missioni Consolata - Maggio/Giugno 2010

24 MC MAGGIO-GIUGNO 2010 D AL BASTONE DEL POTERE ALLA P AROLA DELLO S POSO Nelle nozze di Cana non c’è più Mosè con il bastone, simbolo del potere, e non c’è neanche l’intenzione di dubitare, ma vi è una realtà nuova, foriera di una gran- de novità: c’è l’Israele fedele che aspetta la redenzione, simboleggiata dalla madre, c’è l’Israele incredulo sim- boleggiato dall’architriclino e dallo sposo ignaro, c’è la disponibilità a cominciare a credere della nuova uma- nità simboleggiata dagli apostoli, convitati anch’essi al- le nozze; ma soprattutto c’è lui, lo Sposo nascosto, che aspetta l’ora della sua Gloria, ma che è costretto dal bi- sogno del mondo ad anticiparla. L’acqua non si cambia in sangue minaccioso di morte, ma nel vino dell’alle- gria nel contesto della gioia nuziale. Il nuovo Mosè non deve battere le anfore di pietra con il bastone del pote- re, ma è sufficiente una sua Parola, perché lo Sposo del- la nuova alleanza agisce come il Creatore: opera attra- verso la Parola. Egli parla e così avviene. È evidente che lo schema teologico dell’Esodo fa da sfondo al racconto giovanneo che ancora una volta s’in- terroga e interroga sul mistero della personalità di Ge- sù, che diventa così la chiave ermeneutica per rileggere gli eventi antichi e scoprirne i sensi nascosti che porta- no in sé. Gesù non è venuto a soppiantare Israele per- ché egli è immerso nella storia e nella fede del suo po- polo e ciò che compie e dice e insegna non è una sosti- tuzione di ciò che lo precede, ma la ricchezza abbon- dante nascosta e portata alla luce perché il mondo inte- ro potesse «vedere la Gloria e cominciare a credere». P RINCIPIO E COMPIMENTO L’acqua e il vino, sullo sfondo dell’acqua del Nilo che diventa sangue, acquista anche un altro simbolismo perché anticipa il valore sacramentale della morte di Gesù alla fine del vangelo, costituendo così una parti- colare inclusione o richiamo non solo verbale, ma te- matico, passando per la consapevolezza di Gesù che, prima della lavanda dei piedi dei suoi discepoli (Gv 13,1-38), «sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che e- rano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). L’e- spressione «fino alla fine» in greco si dice « eis tèlos » che raggiunge il suo apice nel momento della morte, quan- do Gesù prima di consegnare il suo Spirito alla nuova umanità, rappresentata dal discepolo e dalla madre, di- ce: «È compiuto!» (Gv 19,30), espressione che in greco ha la forma verbale del perfetto, quindi dell’azione pas- sata i cui effetti continuano nel presente: « tetèlestai » che deriva dal verbo « telè – io compio/porto a compimen- to/concludo» e da cui deriva il sostantivo « tèlos – fine». In questo modo si passa dall’«archê – principio» del pro- logo (Gv 1,1) e delle nozze di Cana (Gv 2,11) al «com- pimento» che si realizza nel servizio ai discepo- li/umanità e alla «pienezza dell’ora» che si realizza nel- la morte di Gesù (Gv 19,30): il «principio dei segni» che avviene a Cana trova il suo compimento e il suo riposo ai piedi della croce, quando tutto «è compiuto». Ora possono cominciare le nozze della risurrezione perché l’umanità insieme ad Israele possono correre verso lo Sposo–roccia che disseta la fame di vita perché «uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e su- bito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,34). Nel racconto dell’esodo come anche nel Targum e nel Midràsh è Mo- sè a colpire con il bastone la roccia da cui scaturisce acqua e sangue, mentre sul Calvario è un pagano (un soldato romano) che colpisce il fianco di Dio, il quale inonda della sua grazia l’umanità intera, rappresentata dai quattro soldati romani/pagani e dalle quattro don- ne ebree/credenti, uomini e donne (cf Gv 19, 23-27). Nell’AT il fatto centrale degli eventi era segnato dalla mancanza di fede del faraone e di Mosè che cerca di coinvolgere anche il popolo che ancora non conosce; nel NT inizia e cammina l’avventura della fede che co- mincia e finisce nella persona di Gesù di Nazaret, figlio della madre/Israele e figlio di Dio/Padre. Con l’apertura del costato di Cristo si ritorna all’Eso- do e all’acqua del Nilo mutata in sangue, con una dif- ferenza: l’acqua del Nilo insanguinata è presagio di morte, mentre la morte di Dio fa scaturire dal suo co- stato le sorgenti dell’acqua e del sangue dei sacramen- ti che come fiumi di grazia alimentano la vita che cam- mina verso il regno. La Storia della salvezza comincia nel «segno dell’acqua e del sangue» per la morte e si conclude nel «segno» sacramentale dell’acqua e del sangue per la risurrezione. Tra questi due estremi si colloca il racconto delle nozze di Cana che da un lato richiama e riprende il «segno» dell’esodo e dall’altro prefigura e anticipa il dono di Dio nel «segno» della morte che innaffia la vita con l’acqua e il sangue del corpo di Cristo. Ora, sì, si compie il desiderio dell’Apo- calisse: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”. E chi a- scolta, ripeta: “Vieni!”. Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita» (Ap 22,17). [ continua - 13] _______________________________________________ (1) Il bastone e la coerenza Il comportamento di Mosè che accusa gli Israeliti assenti di mancanza preventiva di fede gli si ritorcerà contro nel- l’episodio della roccia da cui scaturisce acqua dissetante (cf Nm 20,1-11, specialmente v. 8-13). L’episodio è noto: nel deserto manca l’acqua e si è lontani dalle oasi; il po- polo litiga con Mosè ed Aronne che intervistano il Signore per sapere cosa fare. Dio ordina a Mosè di prendere «il ba- stone» (è lo stesso di cui parleremo sotto), di convocare l’assemblea del popolo e intima a Mosè e ad Aronne: «par- late alla roccia sotto i loro occhi, ed essa darà la sua acqua … Mosè dunque prese il bastone …alzò la mano e per- cosse la roccia con il bastone due volte e ne uscì acqua in abbondanza» (cf Nm 20,1-11). Il Signore aveva ordinato di «parlare alla roccia», mentre Mosè decise di «colpire» col bastone. A questo gesto incoerente e poco fiducioso, Dio risponde in modo severo accusando i due fratelli della stessa mancanza di fede di cui Mosè aveva accusato il po- polo assente, ma schiavo in Egitto: «Poiché non avete cre- duto in me, in modo che manifestassi la mia santità agli occhi degli Israeliti, voi non introdurrete quest’assemblea nella terra che io le do» (Nm 20,12). La mancanza di fede è impedimento a Dio di rivelarsi, cioè di svelarsi: i credenti hanno nelle loro mani e nella loro vita la credibilità di Dio e la possibilità del suo incontro con l’umanità (cf Rashì, Commento all’Esodo , a. l., 24 e anche la nota 1).

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