Missioni Consolata - Aprile 2010

NOSTRA MADRE TERRA hannomai provveduto ad alcuna bo- nifica. Ed ora cosa succede? Il New YorkTimes riporta che l’industria nu- cleare americana intende riprendere a scavare l’uranio in questi territori ed una compagnia mineraria ha già ri- chiesto i permessi necessari per una nuova miniera in terra navajo. Le co- munità navajo, in particolare quelle di Crowpoints e di Church Rock, han- no intrapreso un’azione legale contro la NRC ( Nuclear Regulatory Commis- sion ), che ha autorizzato l’apertura della miniera. Il loro grido di battaglia è ora «leetso doo’da», che vuole dire «no all’uranio». U n altro grave problema è rap- presentato dallo smaltimento e dallo stoccaggio delle scorie nucleari. Secondo i dati dell’ Interna- tional Nuclear Societes Council (INSC), ogni anno l’industria nuclearemon- diale produce un volume di circa 270.000metri cubi di scorie tra bassa, media ed alta radioattività. Si tratta di un volume abbastanza insignificante, dal punto di vista quantitativo (una centrale elettrica a carbone da 1.000 megawatt produce annualmente 400.000metri cubi di ceneri),ma molto pericoloso dal punto di vista della radioattività. In queste scorie si trovano infatti sostanze estrema- mente pericolose. In particolare, quelle ad alta radioattività, rappre- sentate dal combustibile esausto del- le centrali nucleari e dal materiale proveniente dalle centrali dismesse, contengono inmedia il 94%di ura- nio 238, l’1%di uranio 235, l’1%di plutonio, lo 0,1%di attinidi minori (nettunio, americio e curio) e 3-4%di prodotti di fissione. Queste sostanze impiegano fino a centinaia di migliaia di anni, prima di diventare stabili. Come devono essere trattate, per essere messe in sicurezza? Queste sostanze devono essere ridotte di volume (trattamen- to), immobilizzate in idonei conteni- tori, resistenti dal punto di vista chi- mico, fisico e meccanico (condizio- namento), stoccate temporaneamente per qualche de- cina di anni, in modo che si abbatta l’emissione di calore, per progressi- vo decadimento ed infine allocate in un sito nazionale centralizzato, per lo smaltimento definitivo. Non sempre, però, le cose vanno così. I servizi segreti bosniaci - ad esem- pio - hanno scoperto un traffico di scorie e di materiali radioattivi orga- nizzato dalle truppe francesi apparte- nenti alla missione di pace Nato in Bosnia-Erzegovina. Secondo il quoti- diano croato Vecernji list ,durante le missioni di pace Ifor/Sfor della Nato (1), grandi quantità di rifiuti radioatti- vi dell’industria nucleare francese so- no state portate in Bosnia e gettate in tre laghi della Erzegovina, cioè i laghi Busko, Ramsko e Jablanicko.Questa attività è andata avanti per anni. In Er- zegovina fu attivata un’unità speciale dell’esercito francese, interamente costituita da soldati maori prove- nienti dalla Polinesia francese e dalla Nuova Zelanda, con il compito di smaltire i rifiuti radioattivi. Secondo le testimonianze dell’intelligence bo- sniaca, tali rifiuti vennero cementati e gettati nei laghi con degli elicotteri. Come possiamo vedere, da questi esempi, l’energia nucleare è «pulita» a casa nostra,ma «sporca» a casa de- gli altri, cioè nei paesi del Sud del mondo. È un po’come quando si na- sconde la sporcizia sotto il tappeto: tutto appare pulito,ma la sporcizia c’è, nascosta. L a difficoltà di trovare un sito per lo smaltimento definitivo delle scorie nucleari è un problema di non poco conto in ogni parte del mondo. In Italia, nel 2003 era stato in- dividuato come possibile sito il co- mune di Scanzano Ionico, la cui po- polazione si è immediatamente ribel- lata, per cui tuttora non si sa dove smaltire tali scorie. Negli Usa è ancora ben lontano dall’essere realizzato il progetto, co- stato già 8miliardi di dollari per gli studi preliminari del terreno,di realiz- zare un deposito permanente sotto il Yucca Mountain, nel Nevada meridio- nale, 160 chilometri a nord ovest di Las Vegas.Questo progetto prevede la costruzione di un deposito sotter- raneo capace di immagazzinare 77.000 tonnellate di scorie radioatti- ve per 10.000 anni,dal costo stimato di oltre 60miliardi di dollari.Per il tra- sporto delle scorie in questo sito do- vrebbero essere impiegati 4.600 fra treni ed autocarri, che percorreranno migliaia di chilometri, attraverso 44 stati (essendo le scorie attualmente dislocate in 131 depositi temporanei situati in 39 stati), con a bordomate- riale estremamente pericoloso. Il solo fatto che si preveda un tempo di im- magazzinamento di 10.000 anni per le scorie ad alta radioattività, cioè quelle che possono rimanere ra- dioattive anche per 250.000 anni ed oltre, rende del tutto inadeguata questa struttura. C’è poi il problema dell’umidità, che,per quantomodesta in questa zona, a lungo andare può determina- re la corrosione dei contenitori del materiale radioattivo,permettendo- ne la dispersione nelle falde acquife- re. La difficoltà di individuare i siti adatti per depositi permanenti di ma- teriale radioattivo è legata allo svilup- po di enormi quantità di calore,da parte di talemateriale, che potrebbe reagire con i materiali circostanti,pro- vocando la formazione di idrogeno, 64 MC APRILE 2010 I L TRAFFIC O DELLE SCORIE DA ILARIA ALPI AL CUNSKY N el nostro mare italico, secon- doun’indagine tuttora incor- so, lescorieradioattivesarebbero state caricate su navi fatte poi affondare al largo delle coste, co- me nel caso del probabile relitto del Cunsky, ritrovato nelle acque di Cetraro, in Calabria. Le navi affondate inquestomodo,secon- do il raccontodi unpentitodima- fia, sarebbero almeno una trenti- na. La stessa cosa è capitata più volte anche al largo delle coste africane,dove i governi locali han- noconcesso ipermessiperqueste illecite attività in cambio di armi. Molto probabilmente la scoperta di questi traffici illeciti è all’origi- nedell’assassiniodellagiornalista italiana IlariaAlpi edel suoopera- toreMiranHrovatinaMogadiscio, il 20marzo 1994.

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