Missioni Consolata - Aprile 2010
MISSIONI CONSOLATA MC APRILE 2010 37 S iamo tornati da Addis Abeba con Johannes, Haliu e Hermias i nostri tre splendidi bambini etiopi di 8 e mezzo, 7 e 5 anni. «Tutti maschi?», «Certo un po’ grandicelli … , speriamo in bene ... », «E come farete con la scuola? Non sarà certo facile un inserimento a metà anno in un paese con una lingua ed addirittura un alfabeto diversi ... », «Quindi sono neri ... non che oggi le cose stiano come qualche tempo fa, ma inserire dei ragazzini di colore già grandi non sarà facile, i bimbi sanno essere crudeli a volte. E crescendo la situazione non credo migliorerà... », «Che bravi certo ne avete del coraggio ... ormai così grandi e con tanti ricordi non sarà facile farsi accettare come nuovi genitori ... », «Certo che tre in un colpo dopo tanti anni da soli ... sarà molto dura». Q ueste, grosso modo, le osservazioni di «buon senso» di quanti apprendevano la notizia del no- stro abbinamento con i «magnifici tre». Grazie al cielo non difettiamo di amici che di buon senso ne hanno poco e che ci hanno incoraggiato molto a com- piere questo importante passo. Ancora una volta la realtà ha superato la fantasia. Siamo partiti dicendoci che magari due fratellini erano meglio perché, sarebbe stato un punto forza per i nostri figli, magari anche molto diversi somaticamente e cro- maticamente da noi, portarsi appresso un pezzetto della propria storia, e al contempo non recidere un legame certamente parte della loro identità. L'associazione aveva poi segnalato la presenza di diversi gruppi di fra- telli che, per ovvi motivi, trovavano più difficoltà dei sin- goli bambini ad essere abbinati. Certo non ci sfiorava l'idea di prendere tre bambini, come declamava la pian- tina, pressoché definitiva, della ristrutturazione della nostra nuova casa, che esibiva una distribuzione degli spazi pensata per «sole» 4 persone. Sull'età poi eravamo abbastanza rigidi: doveva essere entro i 5 anni! Una prima «picconata» alla nostra posi- zione è arrivata dal corso organizzato dal Comune: le adozioni ormai sono in gran parte di bambini già grandi, 7 - 8 anni. Del resto anche loro hanno diritto ad avere una famiglia. Non è detto che siano inserimenti più pro- blematici di quelli dei neonati ed è importante per tutti i bambini avere genitori di un'età adeguata e non dei nonni - genitori. L'intervento, vibrante e ben argomen- tato ci ha messo molto in discussione, anche se non ci siamo sentiti di aumentare di molto la nostra disponibi- lità. La seconda «picconata» è giunta dall'associazione che guardando le nostre carte di identità ci ha proposto una fascia di età di abbinamento dai cinque agli otto anni compiuti! Dopo qualche momento di smarrimento du- rante il quale abbiamo sentito dentro di noi infrangersi l'immagine del nostro bambino ideale, ci siamo un po’ ri- presi pensando che, trattandosi pur sempre di una fascia teorica, magari i nostri figli sarebbero stati più verso i cinque che non gli otto. E bbene, a quattro giorni dal nostro ventesimo anni- versario di matrimonio abbiamo ricevuto la telefo- nata di Silvana che ci annunciava, come una vera ci- cogna, la possibilità del nostro abbinamento con tre fra- tellini etiopi, tutti maschi, di età ecc. ecc. Come si fa a dire «no» in questi casi? Come si fa a dire «si» in modo consapevole, evitando il rischio di una di- sponibilità solo emotiva che però ti tradisce nel vivere quotidiano a contatto con triplici capricci, un'organizza- zione improvvisamente impazzita (lavatrice in moto per- petuo, spesa fantasiosa per mediare su gusti culinari in- compatibili con i nostri, preparazione di tre bambini en- tro le 8,20 per l'ingresso a scuola...) , una richiesta di at- tenzioni che già in partenza soffre di uno scarto incol- mabile di tre (figli) a due (genitori)? Ne abbiamo parlato molto tra noi, con le nostre famiglie, con i servizi di zona e soprattutto insieme ai molti amici che ci hanno accompagnato in questo percorso. Attraverso il confronto con loro e la loro esperienza di genitori abbiamo cercato di capire che tipo di difficoltà avrebbe comportato il «si», ma soprattutto abbiamo sentito la loro vicinanza, il loro incoraggiamento e soste- gno, «qualificati» da esperienze, pur faticose ma certa- mente positive e coraggiose, di adozione e affidamento di minori «grandicelli» vissute direttamente o da molto vicino. E poi l'incontro. È vero. I nostri figli non sono neonati, ma neanche grandi quanto «temevamo»: preparati al peggio scopriamo che i vestiti portati, in realtà sono troppo lunghi e larghi. Hanno ugualmente diritto ad una famiglia. Ne hanno già persa una e se lo ricordano bene. Sono ugualmente, se non di più, affamati di coccole e at- tenzioni: baci, carezze e abbracci sono ancora oggi il no- stro veicolo principale e reciproco di comunicazione. Anche oggi che, sempre di più ed oltre ogni più ottimi- stica previsione, stiamo arricchendo il comune vocabola- rio. Non sono neonati ma persone con una loro autonomia (che ha i suoi lati positivi) non da plasmare a nostra im- magine e somiglianza ma che ci arricchiscono e mettono in discussione con le loro domande, intuizioni, punti di vista che arrivano dall’altra parte del mondo per di più personalizzati dal loro vissuto. Abbiamo scelto di inserirli il prima possibile nel conte- sto scolastico. Per noi è stata un'esperienza commovente incontrare un mondo della scuola che pensavamo per- duto: una direttrice sensibile e decisa che ha posto le mi- gliori premesse per un inserimento di successo; delle in- segnanti motivate ed entusiaste e dei genitori aperti che hanno accolto i nostri figli con affetto, considerandoli una risorsa per la classe. I nostri figli non erano nemmeno bambini. Erano adulti «per forza». Oggi si stanno riappropriando della loro in- fanzia. Un po’ come le loro biciclette: da grandi, come impone la loro taglia, ma con le rotelle, come richiedono l'inesperienza, la recente scoperta, il rispetto delle tappe di crescita. Ed è uno spettacolo vederli giocare con il «normale» entusiasmo tipico dei bambini. È vero. I nostri figli non sono neonati. Del resto l'adozione non sostituisce una gravidanza, e non è giu- sto considerarla un suo surrogato. L'adozione non è dare la vita. È ridarla a chi l'aveva perduta. Ed è crudele ne- gare questa possibilità nel tentativo di imitare un mec- canismo riproduttivo che ci ha visti «parte lesa». Il punto di partenza qui è capovolto. In questo caso si ri-genera una persona che già c’è, certamente «lesa» nei suoi di- ritti di bambino. C RISTINA ED E NZO Cristina ed Enzo / L’arrivo dei «magnifici tre»
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