Missioni Consolata - Aprile 2010
modo si prepari a quanto può ac- cadere». Farsi una «corazza» protettiva «Ad esempio - continua Elio - cerchiamo di dare un sostegno per affrontare tutte le traversie per ottenere l’idoneità. E cer- chiamo di preparare la gente an- che al caso di esito negativo. Noi non vogliamo fare gli psicologi e gli assistenti sociali. Ma è molto importante avvisare la coppia che potrebbe esserci questa eventualità». Fondamentale è il concetto di gruppo: «Secondo me la famiglia va guidata, occorre aprirle gli oc- chi, darle tutte le possibili infor- mazioni sui disagi che ci sono sul cammino. Il gruppo ti sostiene altre associazioni. E anche le équi- pe dei servizi sociali hanno capi- to l’importanza di questo accom- pagnamento: «Importante è che gli psicologi delle Asl si stanno ispirando al nostro lavoro e orga- nizzano riunioni con le coppie adottive che hanno selezionato nella loro zona e che poi hanno avuto il figlio. Questa è la cosa più bella per noi». Gli incontri (uno al mese per gruppo) hanno un ca- lendario annuale sulle tematiche. «Prima svisceriamo le problemati- che e poi invitiamo dei tecnici: psi- cologo, fisioterapista, assistente sociale, operatore dell’ente auto- rizzato, ecc.» prosegue Elio. «L’obiettivo è anche di mettere le famiglie a conoscenza dei loro diritti, di quello che possono fare in caso di …, da chi possono an- dare. quando tu hai problemi a relazio- narti con il bambino. Se non c’èun gruppo alle spalle come fai? Le capacità e l’esperienza di ge- stire il gruppo è tirare fuori il pro- blema al momento giusto. Riusci- re a portare chi ha vissuto un pro- blema a parlarne con gli altri». I loro incontri sono seguiti da 10 -15 coppie, che si avvicenda- no. Dal gruppo principale, negli anni, ne sono nati altri che si in- contrano regolarmente: «L’idea è non avere tanta gente. Ma avere più gruppi sparsi nel territorio». Così hanno preso vita i gruppi di Collegno, Rivalta, Bibiana e Ao- sta. Ogni incontro è gestito da uno o due volontari: «Persone che hanno seguito il mio gruppo e poi hanno sentito la spinta per crearne un altro». Sono nati anche gruppi legati ad DOSSIER 36 MC APRILE 2010 A nna e Gino, hanno una figlia di quattro anni «biolo- gica» come si dice in gergo e hanno avuto in ado- zione un bimbo cambogiano di 17 mesi. Anna. L’idea di intraprendere il percorso dell’adozione internazionale è nata durante l'adolescenza, nei miei primi viaggi in Inghilterra, venendo a contatto con una società multirazziale. Mi sono chiesta perché l'Italia non fosse così. La prima idea, in realtà, era stata sposare uno straniero, magari di colore. Poi subito dopo ho iniziato a pensare all'adozione. Questa volontà si è poi rafforzata alla nascita di Eleonora, sperando anche che questo avrebbe potuto insegnarle valori positivi di tolleranza e solidarietà. Gino. Nell’ambito scout ho conosciuto persone adot- tate o in affidamento e mi è sembrata una buona cosa. Una opportunità per un bambino (magari non l’unica), ma anche per la coppia. Come al solito è uno scambio. Con Anna è stata una bella sorpresa condividere l’idea, meglio ancora realizzarla. D urante il percorso per diventare genitori adottivi le difficoltà incontrate sono state poche. Abbiamo vissuto l’iter con molta serenità, non ci siamo mai sentiti giudicati, forse perché eravamo molto convinti della scelta e delle motivazioni, e crediamo che questo in qualche modo abbia influito positivamente anche su chi doveva esprimere effettivamente un giudizio. Ovviamente avevamo le spalle coperte dal fatto di avere già una figlia e pure piccola, che quindi assorbiva totalmente la nostra attenzione nei tempi morti, quelli che di solito sono vissuti con molta ansia dagli aspiranti genitori adottivi. Non abbiamo affrontato il cammino adottivo con la tensione delle coppie senza figli, che sentono l’urgente bisogno di dare e ricevere affetto e sono spesso reduci da travagli di ogni genere per ottenere una gravidanza. Per quanto riguarda il percorso formativo previsto dai servizi sociali riteniamo che, almeno nella nostra re- gione, ci sia una buona organizzazione tesa ad infor- mare fin dall’inizio le coppie in merito ai vari risvolti: le- gali, burocratici, organizzativi, educativi e affettivi. Tra gli enti che curano l’adozione internazionale ab- biamo riscontrato differenze non trascurabili. L e prime vere difficoltà sono emerse quando, dopo l’arrivo di Yan, ci siamo resi conto che, per quanto l’avesse desiderato e fosse stata da noi coinvolta e preparata, Eleonora soffriva a causa del fratello. Infatti un conto è immaginarsi un piccoletto da coccolare e abi- tuarsi lentamente alla sua presenza, un altro è ritrovar- selo già autonomo che pretende i suoi spazi e … i giochi. Ci siamo così sentiti un po’ spiazzati e impreparati nei confronti di Eleonora. Crediamo che su questo tema enti e servizi possano fare molto per la preparazione e il sup- porto dei figli già presenti e dei genitori: serve una mag- giore formazione della famiglia esistente. Al momento l’attenzione che pongono enti e servizi è particolarmente concentrata verso i bambini adottati. Ma bisogna dire che i servizi si stanno attrezzando su questo. R ispetto a Yan non abbiamo avuto difficoltà con l’asilo nido, mentre ci siamo dovuti confrontare con la scuola materna che finora non ha formato in modo specifico le maestre, le quali (a parte in alcuni casi), non conoscono il mondo dell’adozione e le implica- zioni psicologiche dei bambini e dei genitori. Dopo un inizio un po’ difficile, dopo aver fatto pre- sente la nostra situazione e informato le insegnanti, a oggi dobbiamo riconoscere un impegno quotidiano po- sitivo da parte loro. Mentre l’istituzione scolastica ha fatto una dichiarazione di volontà per l’attenzione alla formazione futura delle insegnanti. A NNA E G INO Anna e Gino / Una marcia in più
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