Missioni Consolata - Aprile 2010
DOSSIER 34 MC APRILE 2010 Ong, facciano la loro parte. All’inizio della mia esperienza professionale nel settore non ap- poggiavo di buon grado le ado- zioni internazionali, ritenendo che ciascun bambino dovesse essere aiutato nel proprio paese d’origine». Qual è stata per lei la svolta? «Nel 1998 sono andata in Brasile e ho visto per la prima volta bambini che crescevano negli istituti. Di fronte a questa situazione ci dobbiamo chiedere con che diritto diciamo no alle adozioni internazionali, se que- ste possono essere uno stru- mento per dare una famiglia a un bambino. Se non ci sono le- gami affettivi e giuridici che ten- gono quel bambino nella sua terra, un altro paese può dargli gli affetti che non ha trovato. È fondamentale però avere e man- tenere il rispetto per questi bam- bini, per la loro cultura, il loro passato, la loro lingua, la loro storia. Adottando un bambino dal Sud America o dall’Africa bi- sogna fare in modo che non perda le sue origini: la cultura del paese d’accoglienza va ad aggiungersi alla sua, quale ri- sorsa in più. Noi, come servizio pubblico che si occupa di progetti di coo- perazione internazionale e di adozioni, cerchiamo di prepa- rare il più possibile le coppie a questo passaggio, a non tagliare allo stesso tempo, abbiamo il li- mite di non poter prendere in carico coppie di altre regioni, che magari hanno decreti di ido- neità più ampi. A seguito di una Convenzione con le amministra- zioni di Liguria e Val d’Aosta, dal 2010 anche le coppie residenti nelle due regioni possono avva- lersi di questo ente pubblico». Verso un ente nazionale? «Ci sono altre regioni italiane che vedono positivamente la possibilità di poter istituire un servizio pubblico regionale nelle adozioni internazionali. Se, da un lato, bisogna valorizzare gli enti privati già esistenti, consi- derato che alcuni di questi lavo- rano con molta competenza e professionalità, dall’altro lato sa- rebbe auspicabile che altre re- gioni diano vita a dei servizi pubblici in questo settore». ■ a dottoressa Anna Maria Colella, diret- ore dell’Arai, assieme ad alcuni bimbi in Burkina Faso. A lato: deplian informa- ivi dell’Agenzia regio- nale. i legami con il paese d’origine del loro bambino. Per questo ri- teniamo che soggiornare nel paese di provenienza del minore per un certo periodo di tempo sia utile per capire e conoscere meglio la sua cultura. Concordo in ciò con le autorità sudameri- cane, che richiedono una perma- nenza minima delle coppie di 40 - 50 giorni. L’adozione internazionale è una sfida da vincere verso il fu- turo e rispetto a un mondo sem- pre più multietnico, caratteriz- zato dalla convivenza di culture diverse. Noi operatori del set- tore, occupandoci di bambini, dobbiamo per forza guardare al futuro. Grazie all’adozione inter- nazionale si stringono legami anche tra paesi: una famiglia con figli di origini diverse può rappresentare un modello per migliorare la convivenza e l’integrazione nella scuola e nelle istituzioni». Perché un’agenzia regio- nale? «Questo servizio pubblico è nato per dare un’opportu- nità in più alle coppie pie- montesi aspiranti all’ado- zione internazionale. Il fatto che possiamo pren- dere in carico solo cop- pie della regione è una positività, ma è anche un vincolo: siamo più vicini alla coppia, ma,
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