Missioni Consolata - Aprile 2010

DALLA BIBBIA LE PAROLE DELLA VITA (47) (LC 24,46) a cura di Paolo Farinella biblista Così sta scritto 24 MC APRILE 2010 «Manifestò la sua gloria e i suoi discepoli cominciarono a credere a lui » (Gv 2,11). Abbiamo riflettuto a lungo sul significato del vino e le sue implicanze, e, senza esaurirne la simbologia e i testi, ne abbiamo esaminato i più importanti. Facciamo un passo avanti proponendo l’ipotesi che il racconto dello sposalizio di Cana possa essere un midràsh cri- stiano della liberazione dalla schiavitù d’Egitto che, passando attraverso «i colpi» (le piaghe) e la peregrina- zione nel deserto, trova nel Sinai il proprio fondamen- to e culmine. All’interno di questa prospettiva, possia- mo dare alcune indicazioni ulteriori che ci aiutino a ve- dere sempre più profondamente Cana in rapporto con il Sinai, mettendo in evidenza analogie e confronti che di primo acchito non sono evidenti. N EL « SEGNO » DI UN D IO DIVERSO Nella mentalità e nella intenzione dell’evangelista, l’evento di Cana è connesso con la 1 a delle dieci piaghe con cui Dio ha spezzato la resistenza del faraone per- ché liberasse Israele dalla schiavitù. La parola «piaga», in ebraico «negà‘» e in greco «plghê», nel libro dell’Eso- do è usata solo per il decimo colpo che convincerà de- finitivamente il faraone: l’uccisione dei primogeniti (cf Es 11,1). Per i primi nove fatti, descritti nei capitoli 7- 10 del libro dell’esodo, l’ebraico usa sempre il termine «’ot» che il greco della Lxx traduce sempre con «smeîon» (cf Es 4,8-9.30; 7,9), lo stesso che usa Giovanni per de- finire lo sposalizio di Cana (cf Gv 1,11). Non si tratta co- me banalmente si dice di «miracoli» nel senso moderno del termine, ma di «segni» che devono accreditare il Dio di Mosè presso gli Israeliti schiavi e presso il faraone che è invitato a riconoscere la «potenza» del nuovo Dio. Non entriamo nel merito della formazione del testo del racconto dell’esodo che è la confluenza di diverse tradizioni con riflessioni di natura teologica, scritte in epoca tardiva, ma proiettate in epoca antica da un re- dattore che sta riflettendo sulla «teologia della storia». Sarebbe inutile, oltre che stupido, volere cercare la spiegazione di questi «segni» in prodigi astronomici o con le scienze naturali, perché si tratta di fenomeni na- turali, all’epoca conosciuti, riletti in modo iperbolico per fare risplendere davanti agli Israeliti e al faraone l’onnipotenza del Dio straniero Yhwh che vanta diritti anche dentro i confini dell’Egitto. Nel 2° millennio a.C. la concezione della divinità era quella del «dio territoriale»: una divinità cioè non ave- va poteri fuori dei confini di sua competenza. La divi- nità è legata alla terra, gli dèi egiziani erano impotenti in Babilonia e quelli di Assiria nulla potevano in terra di Canaan. Il loro sconfinamento era affidato alla guer- ra: se un popolo vinceva su un altro popolo, gli dèi di questi si sottomettevano a quelli del vincitore. Due e- sempi classici di «divinità territoriale» si trovano nel ci- clo delle gesta di Eliseo: la donna di Zarèpta (Libano meridionale) crede in un Dio straniero annunciato da un profeta straniero che viene da oltre confine e ne ri- ceve il beneficio della farina e dell’olio (cf 1Re 17,10- 16); l’altro esempio è Nàaman, capo dell’esercito siria- no, affetto da lebbra. Egli va da Eliseo che lo guarisce. Prima di ritornare al suo paese, egli chiede al profeta di potersi portare un po’ di terra d’Israele, quanta ne pos- sono trasportare due muli. Giunto al suo paese, per po- tere ringraziare il Dio d’Israele che lo ha guarito, è suf- ficiente che salga su di essa per ritrovarsi «realmente» sulla terra d’Israele (2Re 5,1-27; Lc 4,27). Pregare su quella terra aveva, quindi, lo stesso valore che essere in Israele (è lo stesso principio che sta alla base del tappe- to di preghiera dei Musulmani). I L « SEGNO » NON È MIRACOLO In questo contesto, è evidente che lo scopo dei «se- gni» operati da Mosè è rivelare agli Israeliti e al faraone che il Dio straniero rappresentato da Mosè non conosce confini, ma è libero di agire nel deserto, nella terra di Madian quanto in Egitto. Allo stesso modo «il segno» di Cana ha lo scopo di «manifestare la gloria di Gesù», cioè la novità del suo messaggio: il Dio che egli annuncia è un Dio non straniero , ma lo Sposo che chiama alle noz- ze dell’alleanza l’umanità intera qui rappresentata dai discepoli che sono i garanti del «segno» di Cana di Ga- lilea. Il rapporto con l’esodo non è solo letterario, ma riguarda anche il contenuto. Già in Es 4,9, Yhwh preannuncia che Mosè dovrà cambiare l’acqua del Ni- lo in «sangue» come avverrà con il 1° segno: «Con il ba- stone che ho in mano io batto un colpo sulle acque che sono nel Nilo: esse si muteranno in sangue … Tutte le acque del Nilo si mutarono in sangue» (Es 7,14-24, qui 17.20). Accennare soltanto al nesso che può intercor- rere tra l’acqua cambiata in vino a Cana e l’acqua cam- I L RACCONTO DELLE NOZZE DI C ANA (12) UN DIO «STRANIERO» ABOLISCE I CONFINI

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=