Missioni Consolata - Marzo 2010
prelevano più di quanto stabilito dalle norme internazionali, con le quote di pesca.Nel Mediterraneo, ad esempio, la quota di tonno pescabile annualmente è di 32.000 tonnellate, ma si stima un prelievo totale tra le 50.000 e le 60.000 tonnellate,perché le ispezioni ed i controlli sono spes- so irrisori. U n gravissimo problema sia per le economie dei paesi in via di sviluppo, che per l’ambiente è rappresentato dalla pesca pirata, cioè la pesca illegale sempre più diffusa nei mari di tutto il mondo, una pesca senza regole, la cui unica mira è il maggior quantitativo possibile di pe- scato. Si tratta di un pericolo a livello mondiale, perché questo tipo di pe- sca causa gravi danni ambientali, contribuisce all’esaurimento degli stock ittici e fa concorrenza sleale ai pescatori rispettosi delle regole. In tal modo èmesso in pericolo l’equilibrio economico delle comunità costiere, con tragiche ripercussioni nei paesi in via di sviluppo, dove può essere compromessa la stessa sicurezza ali- mentare. Basta pensare alle coste dell’Africa sub sahariana, i cui villaggi spesso dipendono dalla pesca. Si sti- ma, ad esempio, che la Guinea,nell’A- frica occidentale, perda annualmen- te 100 milioni di dollari, a causa della pesca pirata effettuata nelle sue ac- que territoriali.Molti di questi Paesi non hanno i mezzi sufficienti, per pattugliare il mare antistante alle lo- ro coste, così i pescatori illegali ne approfittano per sovrasfruttare que- ste acque. Inoltre spesso le imbarca- zioni, che pescano illegalmente, si servono come mano d’opera, di ma- rinai e di pescatori dei Paesi in via di sviluppo, che vengono imbarcati e lavorano con paghe modestissime, in condizioni di vita e di lavoro, che talora rasentano la schiavitù. A tal proposito,Greenpeace ha elaborato il documento «Freedom of the seas»,dove sono illustrate le misure attuabili dai governi, sia sin- golarmente che con una coopera- zione internazionale,per fermare sia la pesca pirata, che quella attuata conmetodiche distruttive, come la pesca a strascico.Tra lemisure adot- tabili sicuramente c’è quella del con- trollo capillare degli sbarchi, sia da parte dello Stato di bandiera, che dello Stato del porto,da cui le navi partono o dove arrivano. Secondo la normativa marittima, infatti, una na- ve è quasi considerata come parte del territorio dello Stato di bandiera, il che significa che le possibilità d’i- spezione a bordo, da parte dello Sta- to di porto sono fortemente limitate ed i bracconieri conoscono perfetta- mente questo principio,quindi por- tano il loro carico lontano, in luoghi dove le autorità locali non possono o non vogliono controllare.Da qui essi riescono poi a fare entrare il loro pescato nel mercato legale. U na soluzione al progressivo depauperamento dei mari è la istituzione di una rete di riser- ve marine, come è stato fatto in Nuo- va Zelanda; si tratta di zone dove è proibita ogni attività di pesca,ma anche di estrazione mineraria e di scarico di rifiuti. In queste zone sono inoltre bandite tutte le attività lega- te al turismo. Laddove esse sono presenti già da anni (la prima è stata creata a Goat Island Bay, Nuova Ze- landa, nel 1977), si è assistito ad un consistente aumento delle colonie marine, della durata della vita dei pe- sci e ad un aumento della loro capa- cità riproduttiva. È perciò sempre più indispensabile un consumo di pesce da parte no- stra, che sia intelligente e rispettoso, per non arrecare danno agli altri ed all’ambiente e per fare questo è suffi- ciente limitare il numero di pasti a base di pesce e fare delle scelte ocu- late, seguendo ad esempio la guida «Sai che pesci pigliare?» stilata dal Wwf, che è consultabile in rete. MC MARZO 2010 65 MISSIONI CONSOLATA Pescatori indiani. La sopravvivenza delle popolazioni costiere è messa a rischio dall’invasiva pesca industriale.
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