Missioni Consolata - Marzo 2010

60 MC MARZO 2010 ECUADOR estero. Gli indios erano tutti battez- zati e nelle comunità della campa- gna oltre la cappella c’era anche la casa comunale, la comunità cristia- na e l’immancabile comitato locale. Avevano messo in piedi una certa convivenza o almeno una coabita- zione con i vari interlocutori.Ma lo- ro seguivano quello che avevano sempre fatto, il loro stile di vita col- laudato nei secoli. Secondo la sto- ria, tutti gli indios dell’Ecuador era- no puruhà ,minuscole tribù confe- derate e coordinate in linee generali dai re di Quito. Poi arriva- rono gli incas dal Perù a dominarli e all’arrivo degli spagnoli erano già stati assimilati nella cultura incaica. Gli spagnoli fecero il resto: unifica- rono la lingua e l’amministrazione e promossero a tutta forza la cristia- nizzazione. Quando con Madre Teresita ci sia- mo messi a studiare il progetto mis- sionario degli indigeni di Flores, ci siamo chiesti «cos’era rimasto dei puruhà ? E degli incas? E degli spa- gnoli?». Lungo i secoli erano arrivati poi i libanesi, i cinesi, gli italiani, gli inglesi, i tedeschi.Ma nella diocesi di Riobamba gli indigeni reclamava- no si ascoltasse il loro grido che ri- vendicava luoghi e spazi nella chie- sa. Come dire che «se non ci danno spazio nella chiesa cattolica», sare- mo costretti a farne una noi total- mente indigena, nel pensiero e nel- la teologia, con riti propri e segni propri.Un bel sogno,ma impossibi- le da realizzare. Così con Madre Te- resita ci siamo messi a lavorare par- tendo davvero dalla realtà che si trovava senza nostalgie indebite. La chiesa di Riobamba anche se com- posta per l’ 80% di indios e quasi in- dios, non aveva che una manata di essi nei suoi quadri direttivi. Allora si può inculturare la chiesa senza pre- senza indigena? A Flores abbiamo iniziato mo- destamente, ma con decisio- ne, a indigenizzare la parroc- chia. Il primo impegno è stato prati- co: cosa possiamo fare con una chiesa piena di cultura indigena e vuota di ministri, dirigenti e respon- sabili indigeni? Cooptammo allora indios nei quadri parrocchiali, certi che, una volta inseriti, avrebbero poi manifestato le loro idee e le esigen- ze più vere. Una delle prime esigen- ze fu quella di offrire una educazio- ne complementare ai ragazzi e alle ragazze quechua che finivano la scuola primaria e rimanevano senza prospettive per il futuro. Flores è un piccolo centro di 200 abitanti,ma la parrocchia ne conta 6.000 di cui il 60% sono protestanti evangelici. Subito ci siamo organiz- zati per migliorare la chiesetta e fa- re un centro di promozione educa- tiva e formativa.Nel 1989 funziona- va già e Madre Teresita diventò l’anima di tutte le attività volte a far sì che gli indigeni fossero avviati a diventare responsabili della propria vita e della organizzazione delle at- tività comunitarie. Per il centro sono passati già di- verse centinaia di giovani indigeni e tutti hanno ricevuto quello che noi chiamavamo « capacitasion » (rende- re una persona capace di), ognuno secondo le proprie qualità. Ciascu- no acquisiva delle capacità profes- sionali e umane diverse, secondo i bisogni della famiglia e comunità. Madre Teresita animava una splen- dida collaborazione tra tutti senza divagare sulla gerarchia dei ruoli. A- veva capito il tessuto della imposta- zione culturale: ognuno al suo po- sto con responsabilità e funzione ri- spettata. Madre Teresita, come religiosa della Carità, si è sempre ca- ratterizzata per la capacità di prati- care una solidarietà con i poveri e gli ultimi non fine a se stessa,ma sempre orientata alla costruzione di una società nuova che completasse quella di partenza con più vita, più verità, più amore e più giustizia. Il tutto condito dalla virtù che lei ha praticato di più, la «tendresse» (te- nerezza). G razie aMadreTeresita la «Mis- sione» non è un altro episo- dio nella lunga lista di opere che hanno un principio,molti sacri- fici e poi una rapida scomparsa.Non ho mai smesso di ringraziare perché Madre Teresita era riuscita a rendere il centro una casa sempre abitata. Ha lavorato molto per elevare, e- mancipare, far valere l’indio, come qualità imprescindibile dell’essere e dell’agire. E la cultura è stata anima- ta perché davvero coltivasse la per- sona indigena e la magnificasse nel sapere e nel volere, nel conoscere e nel fare. Teresita grazie, sempre. L’onorifi- cenza la meriti tutta, anche perché già da tanti anni sei diventata un ri- ferimento stabile, bello e felice per l’indio piccolo, per la comunità umi- le, per il giovane indio fermo in un presente senza memoria che valga la pena ricordare e privo di un futu- ro che meriti impegno, fatica e sacri- ficio. Hai dato loro incentivo per raggiungere una dignità che valga la spesa di essere salvata e degna di essere continuata, anche se sappia- mo tutti che il processo è lento e lungo, se si vuole includere tutti quanti e non solamente alcuni più furbi e capaci. Que Dios te pague, cuyashca Hermanita. ■ Madre Teresita con i suoi studenti.

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