Missioni Consolata - Marzo 2010

50 MC MARZO 2010 ne parla. E le autorità di Pechino ap- profittanomolto di questo. Stando alle agenzie di stampa ci- nesi la repressione inTibet è termi- nata da anni e il paese è una provin- cia cinese «perfettamente integra- ta». Potrebbe essere così per quanto riguarda Lhasa.Ma di sicuro non è così nell’altipiano. Gli arresti indiscriminati conti- nuano. Molti monasteri sono chiusi, altri sono aperti ma i monaci vi pos- sono accedere solo in numero con- trollato. Ogni monastero può rice- vere un numero di monaci massi- mo che non superi il 10% della sua capienza. I monaci sono obbligati ad ese- guire sedute di rieducazione e «la- vori collettivi» con scadenze setti- manali.Chi non partecipa finisce dritto dritto in carcere a subire tor- ture di ogni tipo. La ferocia della repressione è bru- tale, e lo è per un precisomotivo. I ti- betani nonmollano la presa.Nelle ultimemanifestazioni di indipen- denza, quelle del 2008, hanno parte- cipato persone che sono nate da ge- nitori nati in unTibet già occupato. Giovani «nati in seno al partito» co- me dicono in Cina. E se le autorità di Pechino vietano l’ingresso a tutti lo fanno sì per na- scondere le brutalità che stanno commettendo,ma soprattutto per evitare che il mondo si renda conto che il Tibet non è una provincia ci- nese. Nonostante le repressioni e le vessazioni, nonostante il tentativo sistematico di annullare la cultura tibetana questa è ogni giorno più viva. Le hanno provate tutte Fin dal 1950 i governanti di Pe- chino hanno speso le loro energie migliori per sottomettere il popolo tibetano. Prima l’invasione militare, poi la repressione religiosa, la Rivo- luzione Culturale e infine l’immi- grazione forzata han .Ma l’occupa- zione del Tibet si ferma lungo le due strade principali e nelle perife- rie delle città. I centri storici arroc- cati intorno ai monasteri, i piccoli villaggi delle verdi vallate, i laghi turchesi, le vette delle montagne, le interminabili lande popolate dai L a Cina non può fare a meno del Tibet. Il boom econo- mico cinese va supportato da ingenti quantità di ma- terie prime.Metalli, petrolio e, soprattutto, acqua. Il Tibet e il Turkestan sono tutto questo. Il Turkestan è il pe- trolio. Il Tibet i metalli e l’acqua. I cinesi si sono accorti che, oltre ad andare in Africa o in America Latina, possono rifornirsi di metalli in casa loro. Nel 1999 il ministero delle Risorse e dei Territori, ha invia- to un migliaio di ricercatori, geologi e ingegneri minerari sull’altipiano. Divisi in 24 brigate di ricerca, hanno realiz- zato una mappatura precisa e dettagliata di tutti i giaci- menti presenti sul tetto del mondo. L’operazione, conclu- sasi nel 2006, è costata circa 44 milioni di dollari.Ma non appena ricevuti i primi dati delle ricerche Pechino ha ap- provato la costruzione della ferrovia per Lhasa. Costo del- l’operazione: quattro miliardi di dollari.Ma ampiamente ripagabili. Il fabbisogno di ferro, per esempio, è aumentato da 186 milioni di tonnellate nel 2002 a 350 milioni nel 2007. Il so- lo ingresso della Cina sul mercato internazionale del ferro ha fatto quasi triplicare il prezzo di questo metallo. E lo stesso vale per l’oro, per il rame e per la bauxite.Ma ora Pechino ha scoperto che sul «Tetto del mondo» giacciono un miliardo di tonnellate di ferro e 40 milioni di tonnellate di rame. Nel 2007 la Cina ha superato il Sudafrica nella classifica dei paesi produttori di oro e tutto questo oro ar- riva proprio dal Tibet. Secondo le stime delle brigate di ri- cerca sotto il suolo del Tibet giacciono minerali per un va- lore complessivo di oltre 150 miliardi di dollari. Il che giu- stifica le spese per la costruzione della ferrovia per Lhasa, il suo ampliamento fino a Shigatze, il finanziamento delle brigate di ricerca e la repressione di ogni forma di prote- sta. Non saranno certo i monaci a fermare Pechino in que- sta sua fame di metallo. L’Occidente lo sa. P er Pechino Tibet significa metalli,ma significa anche acqua. Il 48%della popolazione mondiale, l’82%di quella asiatica, vive grazie all’acqua del Tibet. Da es- so si alimentano i bacini del fiume Giallo, Azzurro, Gange, Indo, Sultej e Bramaputra. Controllando la regione, la Cina controlla l’approvvigionamento di acqua di quasi metà della popolazione mondiale. Ma a tutto questo i tibetani non ci stanno. E continuano a ribellarsi con tutti i loro mezzi. La stragrande maggioran- za di loro che, costantemente, scendono in piazza per manifestare contro la Cina e il suo esercito di liberazione popolare non ne sa nulla dei giochi politico - ecologici - strategici intorno al loro Paese. Loro sanno che il Dalai Lama, la loro indiscussa guida spirituale, è costretto all’e- silio da ormai cinquanta anni; sanno che le terre sterili del Tibet non producono cibo a sufficienza per l’immi- grazione forzata promossa da Pechino; sanno che i mo- nasteri, centri nevralgici e vitali del Tibet, sono stati pri- ma distrutti, poi ricostruiti ed infine svuotati; sanno che non hanno libertà di stampa, di informazione, di preghie- ra e di religione; sanno che devono rispondere a dei go- vernanti che non parlano la loro lingua e che non si ve- stono come loro; sanno che ovunque vanno e qualsiasi cosa facciano rischiano di essere considerati reazionari e quindi incarcerati e torturati. Questo a loro basta. Non gli serve di sapere altro. I l Dalai Lama invece sa perfettamente gli interessi che ci sono dietro (sarebbe meglio dire sotto) la sua terra. Ed è per questo che sono ormai anni che non chiede più l’in- dipendenza del Tibet.Molti tibetani non sono d’accordo con la linea morbida adottata da Tenzin Gyatso.Ma egli sa perfettamente che, allo stato attuale delle cose, la Cina non può fare a meno del Tibet. E sa anche che, da quando c’è la crisi, è tutto il mondo globalizzato che non può fare a meno del Tibet. Omeglio, non può fare a meno delle ri- sorse che la Cina preleva al Tibet. L’economia cinese è la pezza che ha arginato, seppur solo temporaneamente, la crisi mondiale e le sue conseguenze (l’economia america- na in crisi ha chiesto prestiti alla Cina e li ha ricevuti dando respiro all’economia, anche se in modo temporaneo).Ma questo rammendo si basa sulle risorse del Tibet (l’aumen- to dei prezzi delle materie prime è stata una delle cause della crisi, e la Cina ha immesso nuove materie prese da Ti- bet e Turkestan).Ma non possiamo pensare che l’econo- mia continui a crescere all’infinito, in un mondo dove le ri- sorse sono finite. Flaviano Bianchini Il Tibet e la Cina Stanno «sotto» gli interessi di Pechino Ferro, rame, oro, acqua

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