Missioni Consolata - Marzo 2010
48 MC MARZO 2010 TIBET all’istruzione e trascorrevano la mag- gior parte del tempo lavorando per i monasteri,per i Lama di alto rango e per un’aristocrazia secolare, laica, che non contava più di duecento fa- miglie. Sostanzialmente, non erano altro che proprietà dei loro signori, che gli comandavano quali prodotti della terra coltivare e quali animali allevare. Il lungo viaggio Certo, se oggi il Tibet dovesse tor- nare libero la situazione non sareb- be quella di cinquanta anni fa. L’at- tuale Dalai Lama si considera mezzo buddista emezzomarxista e, grazie anche all’esilio e alla conoscenza del mondo esterno che questo ha por- tato, ha più volte condannatomolte delle pratichemedioevali del Tibet pre - cinese. Nonostante ciò Pechino non ha mai voluto negoziare con il Dalai La- ma. A prova del fatto che gli interessi cinesi inTibet sono di carattere geo- politico ed economico e non ideolo- gico. Ma la scintilla che, costante- mente, infiamma i tibetani contro i loro invasori è invece di carattere strettamente ideologico. Ed è per questo che il controllo esercitato dalle autorità di Pechino sugli abi- tanti dell’altipiano raggiunge livelli paranoici.Alcune persone sono sta- te incarcerate per aver recitato delle preghiere che contenevano le paro- le «Dalai Lama», altri per aver cercato tali parole su google . Per evitare che il mondo si accorga di tutto questo,da quando hanno invaso il Tibet le autorità di Pechino hanno sempre vietato a tutti di visi- tare il tetto del mondo in completa autonomia. L’unicomodo oggi pos- sibile per andare inTibet è con un viaggio organizzato da un tour ope- rator cinese. Ma io avevo una promessa da mantenere.Nell’aprile del 2007 co- nobbi Palden Gyatso.Monaco tibe- tano che aveva passato 33 anni nelle carceri cinesi per non aver denuncia- to il Dalai Lama e la sua «cricca rea- zionaria». Dopo una lunga chiacchierata Pal- denmi disse: «Io non posso più tor- nare inTibet.Vai tu e raccontami co- me è il paese delle nevi».Duemesi dopo ero sull’altipiano,ma non con un tour operator cinese.Paldenmi a- veva chiesto di raccontargli il Tibet, e non quello che i cinesi vogliono farti apparire come tale.Passai la frontie- ra nascosto in un camion insieme ad un pellegrino nepalese che tentava di raggiungere il monte Kailash, la montagna sacra ai buddisti, ai giaini- sti, ai bön e agli induisti. Alle pendici del monte Kailash scesi dal camion, e da lì mi incammi- nai a piedi fino a Lhasa,passando dal monte Everest e dal villaggio natale del mio amico Palden.Percorsi più di 1.500 chilometri a piedi.Ottocento di questi in compagnia di un pelle- grino che tornava a casa dopo aver percorso 108 circuiti sacri del monte Kailash. Sono pochi gli occidentali che hanno avuto la fortuna, e la sfor- tuna, di entrare inTibet. Ed è anche grazie a questo che la Cina può con- tare su una costante disinformazio- ne su ciò che vi accade. Oggi chi parla di Tibet lo fa da Nuova Delhi o da Dharamsala, alcuni addirittura da Pechino. Solo pochi lo fanno da Lhasa.Ma,purtroppo, Lha- sa ormai non è piùTibet. Il veroTi- bet, quello dei pastori nomadi e dei monaci che resistono, non lo cono- sce quasi nessuno, e quindi nessuno Sopra: caserma dell’esercito cinese, al campo base dell’Everest. Sotto: monastero di Samding, sulle sponde delloYamdrek Tzo. È l’unico monastero amministrato da una badessa. Pagina a fianco: pellegrina lungo il sacro kora (circuito )del monte Kailash.
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