Missioni Consolata - Marzo 2010
MISSIONI CONSOLATA MC MARZO 2010 43 Nei Territori occupati, invece, i rapporti tra chiesa e stato sono spesso tesi a causa del regime di occupazione. Ogni volta che faccio sentire la mia voce in questo sen- so, si alza la tensione, pur non ar- rivando alla rottura. Tuttavia cerco sempre di fare comprendere che, come portavoce della chiesa, vo- glio solo il bene dei palestinesi e degli israeliani. Anche le altre chiese sono sul- la stessa linea? Grazie a Dio, oggi in Terra santa viviamo in un clima di amicizia e fraternità tra le differenti chiese cri- stiane e speriamo di crescere in un cammino ecumenico reale che ci orienti verso una maggiore unità e meno status quo , meno vita nel passato e più attenzione alle diffi- coltà dell’ora presente. Siamo 13 capi di chiese a Geru- salemme e prendiamo la parola ogni volta che la situazione si fa più opprimente per denunciare le ingiustizie, come abbiamo fatto durante la crisi e l’assedio della ba- silica di Betlemme. Abbiamo fatto insieme un documento su Gerusa- lemme, sulla natura e significato cristiano della città. In dicembre abbiamo pubblicato Il documento kairos Palestina (vedi pagina 30). Pace su Gerusalemme! Gerusalemme è il cuore del conflitto: come trasformare il problema in soluzione? Oggi Gerusalemme è la città di due popoli e tre religioni. Le parti in conflitto pensano più a divider- la che a condividerla. È la città di Dio e, come Dio, è per tutti: nes- suno può averla in esclusiva. Essa deve essere aperta a tutti i creden- ti, facendone una città internazio- nale con uno statuto speciale, go- vernata alla pari da israeliani e pa- lestinesi; un’entità unica di cui nessuno è padrone, ma compro- prietario, sotto la supervisione del- l’Onu, per garantire il rispetto del- le regole e delle speranze dei due popoli e delle tre religioni. Gerusalemme è la chiave della pace nella regione; ogni soluzione imposta con la forza, che non ri- spetti i diritti e i doveri di tutti può portare solo a una tregua, non a una pace definitiva. Chi ha le chiavi della pace? Il conflitto in corso non è una guerra: non ci sono due eserciti che si combattono tra loro, ma da una parte c’è l’oppressore, dall’al- tra l’oppresso. Se si parla di azioni terroristiche palestinesi, bisogna parlare anche di azioni terroristi- che israeliane. La violenza palesti- nese e quella israeliana sono pur- troppo legate tra loro. Come rompere il circolo vizioso? La soluzione è semplice: porre fi- ne all’occupazione militare israe- liana; non vedo altro modo possi- bile per far scoppiare la pace inMe- dio Oriente. Purtroppo, Israele non parla di occupazione, ma di auto- difesa, di diritto alla sicurezza, e non capisce che il vero problema è l’ingiustizia fatta al popolo palesti- nese. Se cesserà tale ingiustizia, se i palestinesi avranno il loro stato, saranno i migliori amici d’Israele. La pace è molto più utile a Israele che ai palestinesi. E se vuole la pa- ce, deve aprire il dialogo, fare pas- si concreti; è lo stato più forte ed è l’oppressore, per cui dovrà fare il primo passo. La chiave della pace è in mano a Israele. In concreto, come risolvere il conflitto? Non può esserci pace senza ri- solvere il problema del territorio. Nel 1967 il 78% del territorio for- mava lo stato di Israele; il 22% sot- to il governo giordano; poi Israele lo ha occupato e di questo 22% promette di restituire il 40%, che non basta per fare uno stato. Quin- di, o Israele si ritira dai territori oc- cupati e li restituisce ai palestine- si, oppure li incorpora formando un unico stato in cui tutti i cittadi- ni sono uguali, con gli stessi dirit- ti e doveri, cambiando il nome se necessario, tornandomagari al no- me primitivo, da Èretz Israèl (terra d’Israele) a Terra di Canaan. Invece Israele continua a co- struire nuovi insediamenti nei ter- ritori occupati e sta giudeizzando Gerusalemme, confiscando pro- prietà e case, con il pretesto che prima del 1948 appartenevano o erano abitate da ebrei. Ma lo stes- so principio non è applicato per i rifugiati palestinesi, quando recla- mano la restituzione delle loro abi- tazioni, ora occupate da ebrei. Ma Obama... Anche Obama ha deluso. Quan- do ha incontrato il premier israe- liano e il presidente dell’Autorità palestinese, non ha concluso nien- te: si è accontentato di parole, la- sciando le cose come stanno, sen- za fare alcuna pressione su Ne- tanyahu, permettendogli in prati- ca di continuare la sua politica. Senza imporre sanzioni e farle ri- spettare, Israele continua a fare ciò che vuole, contro e al di sopra di ogni legge internazionale. Obama ha capito che c’è un pro- blema di leadership: né Ne- tanyahu, né Abu Mazen, né Ham- mas sono all’altezza per risolvere il conflitto; per questo non si im- pegna più di tanto per risolvere il problema. Ma Obama... Allora... come cristiani conti- nuiamo a sperare e lavorare. Nella terra sacra per le tre grandi reli- gioni monoteiste il dialogo è pos- sibile e deve essere possibile. Sia- mo popoli che da due mila anni vi- viamo gomito a gomito: è un fatto storico. È la storia che ci ha radu- nati tutti insieme, o meglio, è la Provvidenza, i Signore della storia che lo ha permesso e voluto. Da parte nostra facciamo tutto quello che possiamo, convinti di avere una vocazione specifica: es- sere cristiani, cioè testimoni di Ge- sù nella sua terra, chiamati a testi- moniare il suo amore e la sua ri- conciliazione qui e non altrove. ■ Prete greco-ortodosso in una via di Gerusalemme.
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