Missioni Consolata - Febbraio 2010

DOSSIER 40 MC FEBBRAIO 2010 cesso di inculturazione della fede. Non ne siamo noi gli arte- fici (è il vangelo che si incarna in un popolo), ma dobbiamo saper camminare con chi diventa di- scepolo di Gesù Cristo senza es- sere nato a Torino o a Nairobi e che dunque ha tutto il diritto di realizzare la propria vocazione cristiana come figlio/a del suo popolo e del suo tempo. Un aspetto originale della mis- sione asiatica e mongola in parti- colare è la riscoperta centralità della dimensione contemplativa, orante della missione. Non che altrove non sia altrettanto vera ed importante, ma a queste lati- tudini assume un peso specifico più grande. Viaggiando per le immense pianure mongole, an- che nei luoghi più remoti si tro- vano resti di monasteri buddisti, quasi tutti distrutti durante la persecuzione comunista degli anni Trenta del secolo scorso; oggi alcuni di questi centri rina- scono, si popolano di nuovo come è stato per secoli. Il mo- naco è l’uomo della conoscenza, ma soprattutto della medita- zione, dello spirito, il maestro che si consulta per trovare la strada della vita. Il/la missiona- rio/a che condivide questi spazi e queste dimensioni come non potrebbe essere a sua volta l’uomo/la donna del silenzio, della preghiera, del dialogo con Dio e della guida spirituale? Le donne che si uniscono a noi in preghiera nella gher -cappella di Arvaiheer non hanno alcuna difficoltà a passare anche ore di fronte al Santissimo, magari con ai piedi un bimbetto di pochi mesi che gattona o dorme su una stuoia. Sguardi, preghiere sussurrate, mano che scorre sui grani del rosario. Loro sanno che siamo qui per questo e pur rico- noscendo di essere ancora all’i- nizio di un cammino, si mettono in preghiera, pazienti e fiduciose che qualcosa sta già accadendo. Chi vuole trovare un monaco buddista sa che deve andare al monastero; così anche chi vuole incontrarci sa che una parte della giornata è dedicata alla preghiera e al silenzio, a cui chiunque si può unire senza ti- more e senza bisogno che noi spieghiamo ogni cosa. Tempi di cambiamento L’Impero Mongolo nelle sue va- rie espansioni non si è mai com- pletamente stabilito nei territori conquistati; ai grandi Khaan ba- stava dichiarare la proprietà di quello stato soggiogato, ma poi tornavano alla capitale Kharkho- rin e continuavano a condurre lo stesso tipo di vita a cui erano abi- tuati. Dal di fuori prendevano solo quello che consideravano vantaggioso dal punto di vista pratico, ma senza abbandonare le proprie tradizioni. Una simile tendenza si può ritrovare anche oggi: gli abitanti della Mongolia stanno cominciando ad assu- mere da altre culture quello che ritengono a loro più conveniente; purtroppo questo si trasforma spesso in assunzione acritica di modelli culturali imposti dalla so- cietà dei consumi (questa sì glo- balizzata!). Qui sì, noi missionari pos- siamo essere di aiuto come me- diatori culturali, diventando voce critica che accompagna il deli- cato momento di trasformazione della società. Il mondo della gher è ancora il mondo della maggioranza dei mongoli di Sopra: passato e presente coesi- stono, tipica tenda mongola (il gher) con antenna parabolica. A lato: un «oovo», pila votiva di ori- gine sciamanica. Pagina accanto: moto e sidecar.

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