Missioni Consolata - Febbraio 2010
MISSIONI CONSOLATA MC FEBBRAIO 2010 39 anche lunghi periodi a casa di amici di famiglia. Anche a noi stranieri non si rifiuta mai uno sgabello al caldo della stufa e se lo desideriamo anche un letto per dormire. Il rispetto per tutto quello che ha a che vedere con la religione e il mondo del mistero è così ra- dicato che in Mongolia si è speri- mentata sempre una certa tolle- ranza per qualsiasi forma di credo (ad eccezione ovviamente del periodo dell’ateismo di stato comunista), pur mantenendo ov- viamente un forte attaccamento alle tradizioni sciamanico-buddi- ste. Sul volto delle persone che noi frequentiamo leggiamo uno spi- rito di sopportazione e pazienza a tutta prova: chi di noi saprebbe resistere ad un quotidiano fatto di vento gelido, poco sterco da bruciare, distanze infinite, mal- versazioni dei politici, ingiustizie sociali, mancanza di stimoli intel- lettuali e altre numerose prove che segnano i giorni della gente? La vita nomade di chi è abi- tuato a spostarsi fino a quattro volte all’anno per trovare pascoli migliori ha segnato profonda- mente di precarietà l’animo mon- golo. Con questo s’intendono di- versi aspetti del carattere: per esempio il vivere alla giornata, senza grandi previsioni sul do- mani; a questo si accompagna la non abitudine al risparmio, ma anche un essere presenti a se stessi senza l’affanno delle pro- grammazioni a lungo termine. In un mondo in perenne cambia- mento, a cui ci si deve adattare e a cui dunque non conviene attac- carsi più di tanto, gli amici che non ti lasciano sono quasi vene- rati con grande stima ed affetto. Le grandi solitudini della steppa e del deserto sono spesso accompagnate dalla musica e dalla poesia, che riescono a strappare un po’ di lirismo ad una vita spesso spietata e fati- cosa. È nostra intenzione ap- profondire questo tema della musica tradizionale, perché sap- piamo che al suono del morin khuur vibrano le corde del cuore di ogni mongolo. Queste ed altre considerazioni sull’animo mongolo ci devono aprire ad un modo di vivere la fede che potrà assumere forme a noi nuove o insolite; è il nostro ruolo di accompagnatori del pro- di Gesù Cristo. Charles de Foucauld, a guardare la fede e la sottomissione dei discepoli di Mohammed, si sentì aprire il cuore alla voce di Dio, che lui aveva deciso di escludere dalla sua vita. E noi quanto abbiamo da imparare dal pio buddista che dimostra nei fatti una coerenza a tutta prova con i propri principi religiosi, una devozione non ti- mida, una fiducia incrollabile nelle parole del Maestro! Una caratteristica di questo uni- verso spirituale è l’importanza at- tribuita alla relazione maestro-di- scepolo. A detta di molti esperti di Asia è una delle caratteristiche più marcate delle culture orien- tali. Ancor oggi l’iter ordinario che segue chi vuol diventare mo- naco non si svolge prevalente- mente in una struttura educativa di gruppo, ma con l’affidamento ad un monaco-maestro, che sarà il punto di riferimento di quel gio- vane per tutta la vita. Chi insegna nelle scuole viene salutato con molto rispetto e sarà sempre bagsh , maestro, anche quando i suoi allievi avranno la sua età. L’ospitalità è certamente un al- tro grande segno distintivo dei mongoli. Prima si entra nella gher , ci si siede, si riceve una tazza di tè, si assaggia del grasso, e poi, solo in un secondo momento, ci si presenta. In cam- pagna ancor oggi le gher non hanno lucchetto o serratura, vi si può entrare anche in assenza dei padroni e servirsi di tè e di cibo avanzato. I bambini trascorrono
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