Missioni Consolata - Febbraio 2010

DOSSIER 38 MC FEBBRAIO 2010 siamo ospiti. E col tempo la gente capisce che siamo anche pellegrini, non turisti o impren- ditori; inviati da Qualcuno che vuole stringere amicizia con loro, rivelandosi. Il contatto con le culture di tutte le latitudini, specialmente qui in Mongolia, quando accom- pagnato da riflessione e pre- ghiera, ci aiuta a ritornare al cen- tro, ridimensionando il nostro ruolo, e certamente purifican- dolo da quegli atteggiamenti inaccettabili di superiorità cultu- rale o religiosa. Per centro in- tendo la fede vissuta, l’impegno personale di conversione al Dio vivente, la sequela vissuta in co- munità, il darsi alla preghiera e al servizio umile dei più piccoli e poveri, la gioia della testimo- nianza, la bellezza del mistero celebrato nella liturgia, il silen- zio adorante vissuto per diven- tare capaci di ascolto. La Mongolia, con la tradizione pastorale nomade della sua po- polazione, è senza dubbio un contesto privilegiato per speri- mentare l’itineranza come di- mensione fondamentale della fede. Questo si traduce in uno stile sobrio di missione, fatto di strutture semplici, non «ingom- branti»; di progetti che si pos- sono seguire e mantenere con le risorse di cui si dispone; fatto soprattutto di persone capaci di cambiare, di adattarsi a situa- zioni in continua e rapida tra- sformazione, senza fossilizzarsi in schemi che non si vorrebbero più cambiare. In altre parole ri- tornare al centro significa anche riscoprire l’essenzialità come stile di vita, un modo di vivere da poveri in un mondo che ac- cettiamo di dover imparare a co- noscere, domando in noi stessi l’istinto di paragonare fra loro si- tuazioni diverse e di giudicarle in base a previe esperienze di missione. Quanto vissuto prima e altrove è certamente parte di noi come un tesoro prezioso, ma ci vuole anche il coraggio di la- sciar parlare la nuova realtà senza subito imbrigliarla in schemi utilizzati in altri contesti. Essenzialità è anche questo. Poi certamente c’è l’aspetto più pratico dell’essenzialità: il non attaccarsi a niente che non sia il vangelo e l’amore fraterno. Come ci è stato tolto il terreno precedente, datoci dal comune di Arvaiheer, per assegnarcene un altro ben lontano dal centro (per dare meno fastidio), così nessuno ci assicura in modo de- finitivo che non avremo più pro- blemi con le autorità; il risenti- mento anti-straniero che serpeg- gia da tempo potrebbe culmi- nare in un’espulsione di tutti i missionari, e allora cosa ne sarà di quello che abbiamo fatto? Se avremo investito solo in mattoni e grandi progetti, resterà ben poco; se invece avremo messo le persone al centro, allora forse qualcosa resterà… Tutto questo però deve tro- varci pronti a vivere l’insignifi- canza che ne consegue: rappre- sentare lo 0,5% scarso della po- polazione (questa la percentuale di cattolici in Mongolia), vivere in una terra dal clima duro e poco abitata, essere visti quasi sem- pre con sospetto dalla gente, aver difficoltà ad esprimersi cor- rettamente, a motivo di una lin- gua difficile da imparare, è una realtà non facile da accettare, so- prattutto se uno si aspetta an- cora quel riconoscimento sociale che spesso era attribuito al mis- sionario in passato. No, qui in Mongolia si impara ad essere seme buttato nel terreno, lievito invisibile in tanta pasta, segno disposto a farsi interpellare ed a prendere sempre nuove forme. È un modo nuovo di vivere la mis- sione? Non lo so; a me pare il modo descritto dal Beato Allamano, che certo non voleva missionari frettolosi e faciloni, al contrario persone di Dio dispo- ste a seguire lo Spirito ed a la- sciarsi plasmare dal contesto di vita perché il vangelo entri in profondità nel cuore degli uo- mini. Ricchezza e virtù Un altro aspetto di arricchi- mento della missione in Mongolia e in Asia più in gene- rale (v. Corea) è il contatto con un animo profondamente reli- gioso, di cui la tradizione buddi- sta è uno dei tanti esempi. Non può lasciare indifferenti il fatto che l’Asia sia stata la culla delle più grandi religioni del mondo; e questo per noi non è solo un dato storico, ma si traduce in un’esperienza continua di frater- nità con persone che hanno un modo tutto particolare di vedere la vita, impregnato di saggezza come anche di eccessi e di paure. Và preso tutto così com’è, rinunciando ad annun- ciare Cristo? Mi sembra di no, perché sappiamo che il Signore pur non disprezzando nulla di quanto c’è di autenticamente umano, porta però una luce di conoscenza interiore capace di sciogliere prigionie spirituali e di completare verità parziali. Questo non và confuso con su- periorità o discriminazione, per- ché nessuno di noi può conside- rarsi «a posto» nella sua sequela A lato: una bambina con un vitello. Nella pagina accanto: monaci bud- disti e particolare di una statua del Buddha.

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