Missioni Consolata - Febbraio 2010

MISSIONI CONSOLATA MC FEBBRAIO 2010 35 do occidentale e del suo sostan- ziale essere senza Dio appare bene nelle vetrine all’ultima moda e nelle tecnologie che si stanno diffondendo anche sulla più sperduta montagna. L’estensione enorme del paese, la dispersione della popolazione e il grado di povertà di ampie fa- sce sembrano opporre un gi- gante all’annuncio affidato a po- che decine di missionari e ai circa seicento battezzati di que- sti pochi anni. P roprio la consapevolezza di queste sfide avvicina i mis- sionari ai primi apostoli, in- viati a evangelizzare il mondo in- tero sulla base della loro fede e con l’unica competenza di avere visto Gesù all’opera. Così ab- biamo visto sorgere sul volto di missionari e missionarie il sor- riso costante, l’accoglienza pa- ziente di ogni persona, lo sforzo di entrare in difficili rituali cultu- rali e familiari, il saper prendere al volo ogni occasione per stabi- lire nuove amicizie, il non con- tare troppo su numeri e ade- sioni, la consuetudine della pre- ghiera perché annuncio e testi- monianza siano radicati nella presenza del Signore accanto a loro, nell’Eucaristia, nella Parola. Nei posti in cui – come in Mon- golia – c’è spazio per quello che chiamiamo «primo annuncio» o «prima evangelizzazione», di- venta più vero il respiro del mis- sionario che si misura non su istituzioni già consolidate, ma sul rischio e sulla debolezza di una Parola che si affida alla li- bertà degli esseri umani. Va detto anche che questa autentica avventura non è senza riscontri Q uando a suo tempo - non molti anni fa - padre Erne- sto Viscardi, missionario della Consolata, mi comunicò l’intenzione dei suoi superiori di inviarlo in Mongolia invece che nelle consolidate destinazioni m i s s i o n a r i e d e l l ’ A f r i c a o dell’America Latina, non trattenni lo stupore. In effetti fino a quel momento la Mongolia altro non era per me che un’area della carta geografica schiacciata tra i giganti di Russia e Cina, non par- ticolarmente conosciuta nei suoi tratti umani, culturali e religiosi. Gli incontri successivi con padre Viscardi e, soprattutto, la visita fatta a lui e alla sua comunità nel luglio 2009 come responsabile nazionale di «Missio», hanno aperto uno squarcio interessante non solo sul popolo mongolo e sulla fantastica geografia del paese, molto attraente, ma anche sulla religione e sulle possibilità di evangelizzazione. È fuori dub- bio che la Mongolia abbia vissuto un lungo periodo di governo ateo sotto l’influenza sovietica, ma ciò non ha ridotto né mortifi- cato del tutto la naturale religio- sità della gente, che si nutre di devozioni e preghiere con un’in- tensità non diversa da quella a cui siamo abituati tra noi. D’altra parte l’assoluta assenza del cri- stianesimo in queste terre, tranne poche eccezioni lontane nel tempo e documentate dalla storia, ne fa uno dei rari luoghi dove l’annuncio cristiano è alle sue prime esperienze e l’evangelizzazione muove i suoi primi passi. Quasi ovunque nel mondo, infatti, il vangelo è stato già proclamato e la chiesa ha già maturato la sua presenza con diocesi, vescovi, istituzioni. Qui, invece, la data di avvio della maggior parte delle iniziative ap- partiene a questo decennio e al- cune celebrazioni vedono spesso la presenza di soli catecumeni, riuniti attorno al missionario che le guida. In Mongolia, mentre la gente prosegue imperterrita a vivere del proprio lavoro e delle proprie convinzioni (e di una buona dose di imitazione dei comportamenti tipici del «villaggio globale»), i missionari sono riportati diretta- mente alle prime chiamate degli apostoli nei vangeli, alla timida vigilia di Pentecoste, ai primi in- certi passi di Paolo e Barnaba. Si respira tuttavia un’aria fresca in questo clima degli inizi: tutto è possibile, non c’è nulla da per- dere, annuncio e testimonianza scorrono gratuiti e fiduciosi tra le relazioni fraterne e i primi ap- procci alla Bibbia e alla figura di Gesù. Le autorità - è vero - già si sono fatte avanti per classificare e re- golare questo nuovo fenomeno religioso: non lo vorrebbero ve- dere in fila con le varie forme di fondamentalismo e si sentono responsabili di fronte a ogni no- vità inedita. Per i missionari è l’occasione, ancora una volta, di sentirsi «ospiti» e «stranieri», non solo in quanto possessori di un passaporto non mongolo, ma come portatori di una «notizia» così fuori dal normale da risul- tare proprio di un altro mondo. La sfida di questa prima evan- gelizzazione appare ardua: usi e costumi di questi popoli sono ben radicati, la sua religiosità as- sume tratti di originalità e di im- permeabilità, il fascino del mon- Col sorriso sulle labbra e la parola nel cuore. I primi approcci missionari in una chiesa che sta scoprendo il vangelo. di Gianni Cesena UNA CHIESA AI PRIMI PASSI Mongolia: laboratorio di prima evangelizzazione come missione M

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