Missioni Consolata - Febbraio 2010

DOSSIER 34 MC FEBBRAIO 2010 mare delle comunità sia per intro- durre nuove abilità e competenze (il contesto lavorativo è esclusiva- mente legato all’allevamento)…». Insomma, i poveri ci sono anche in Mongolia e la Caritas ha il suo da fare, pur lavorando su piccoli numeri e con una buona dose di improvvisazione. Prima della partenza dall’Italia qualcuno ci aveva messo sull’av- viso come l’alimentazione mon- gola fosse poco adatta ai palati e allo stomaco degli europei. Occorre, in verità, rettificare que- sta opinione poco benevola. Pur variando le opinioni sui gusti, oc- corre dire che la cucina mongola «non è poi così male!». Intanto la gastronomia mongola è bikolor , ossia vi sono alimenti grigi (carni) e alimenti bianchi (latte e deri- vati); si vive di allevamento e di conseguenza l’allevamento è la fonte anche della sussistenza. Tra le varietà di piatti, non si può non ricordare il khorkhog , agnello o capra cucinato «ai sassi incandescenti». Abbiamo assi- stito di persona alla preparazione di questo pasto. Al di fuori di una gher il capofamiglia, aiutato dai figli, prepara un grande fuoco su cui colloca delle pietre. Intanto riempie un grande con- tenitore di alluminio con strati di carne tagliata a pezzi alternandoli con strati di patate e carote e pie- tre roventi; il tutto insaporito da erbe di stagione. Riempito il con- tenitore, viene messo sul fuoco per un paio d’ore. Dà l’impres- sione di una pentola a pressione perché ogni tanto dal coperchio, chiuso quasi ermeticamente, escono sbuffi di vapore. Al ter- mine della cottura inizia il pranzo che è servito in grandi ciotole al- l’interno della gher , il tutto innaf- fiato con tè salato e con una cor- rezione di latte e una noce di burro fuso. L’effetto è certamente curioso ed eccitante, ma sui gusti la discussione è aperta. Si riparte per l’Italia con la sen- sazione di non essere stati solo dei turisti, ma di avere condiviso nel rispetto delle tradizioni alcuni momenti intensi e preziosi della vita e della cultura di un popolo che fino allora navigava nel no- stro immaginario molto lontano dalla realtà. ■ peggiare le foto di cavalli perfino sugli altarini delle gher e si ascol- tano canzoni straordinarie dedi- cate non alle bellezze di una donna, ma alla morbida criniera di un purosangue mongolo, vinci- tore, magari, di una delle molte gare che si organizzano sulle pi- ste della steppa. D opo una sosta di due giorni nella cittadina di Arvaiheer, si rientra in capitale sempre a bordo di un Suv guidato magi- stralmente da Sukhee, un ex lot- tatore che per comodità tutti chiamiamo Giosuè. Non spiccica una parola di italiano, ma in com- penso, con delicatezza premu- rosa, si fa comprendere perfetta- mente a gesti. Ogni tanto si ferma lungo la strada e scen- dendo dall’auto, gira per tre volte attorno a qualche ovoo pre- gando. Non è raro infatti trovare, magari su una montagnola o so- pra un dosso ai fianchi della strada, dei mucchi a forma di pi- ramide, formati di pietre e ossa di animali con al centro un palo di legno fasciato da sciarpe e veli azzurri che sventolano al vento. Sono questi i cosiddetti ovoo , luo- ghi di culto e di preghiera, o le stupa , stele votive caratteristiche delle credenze sciamanico-buddi- ste. Anche noi ci fermiamo incu- riositi domandando alla nostra guida informazioni su sciamane- simo e buddismo. Non è facile comprendere questi momenti dello spirito così lontani dalla no- stra cultura e dai segni della reli- giosità occidentale. Ce ne rendiamo conto anche vi- sitando il Palazzo invernale del Bogd Khan alla periferia della ca- pitale. Fu la sede dell’ultimo re della Mongolia ed ebbe la fortuna di essere risparmiato dai sovietici (a differenza del Palazzo d’estate che fu completamente distrutto) e trasformato ora in un museo. Oltre ai numerosi templi, ricchis- simi di immagini, simboli e narra- zioni sacre, all’interno del recinto un grande fabbricato bianco co- stituisce il palazzo d’inverno, dove sono raccolti doni offerti da dignitari stranieri insieme ad una ricca oggettistica patrimonio della famiglia reale. Il Bogd Khan è passato alla storia come abile cacciatore e appassionato colle- zionista di animali, di cui si con- serva una straordinaria mostra di esemplari imbalsamati. N on perdiamo, infine, l’occa- sione di incontrare anche l’unico vescovo cattolico della Mongolia, mons. Venceslao Padilla, un filippino cordialissimo che ci presenta la situazione della chiesa cattolica mongola: «Dopo 17 anni di presenza in questa terra registriamo seicento bat- tezzati e un migliaio di catecu- meni. Si può ben dire che quella mongola sia una chiesa nomade: ci si ritrova in appartamenti per celebrazioni diverse; ci sono quattro parrocchie, sparse su di un territorio pari a cinque volte la superficie dell’Italia. Abbiamo sei succursali dove si sviluppano di- versi progetti sociali a favore di anziani, ragazzi di strada, disa- bili… una piaga è l’alcolismo gio- vanile e pertanto si sono aperti al- cuni centri per ragazzi a rischio e due fattorie agricole sia per for- Il cavallo è ancora il mezzo di loco- mozione più utilizzato.

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