Missioni Consolata - Febbraio 2010

MISSIONI CONSOLATA MC FEBBRAIO 2010 11 da voce alle Missionarie della Conso- lata -, spulciando dal bellissimo nu- mero speciale che lei fece nel 1985 in occasione del 75° di fondazione. Sotto il titolo «Ambizioni e fantasie di Fondatore, tenerezze di Padre», suor Gian Paola cerca di capire lo sti- le specifico dato dal Beato Allamano alle sue suore. Ecco qui cosa scrive. per questo termine, parendogli, dis- se, più moderno. E più moderno volle l’abito, sia nel colore, sia nel modello da lui richie- sto a una delle migliori sartorie di Torino, non reputando perdita di tempo lo studiarne i dettagli insie- me all’inseparabile amico canonico. Ne venne fuori una divisa allora del tutto fuori serie tanto nel colore, gri- gio, e nel materiale, puro «cheviot», come nella linea, addirittura con fini pretese di eleganza. «Avrei potuto vestirvi di sacco e darvi un saio», spiega, «ma vi ho dato un abito fine perché vi voglio religiosamente fini ed eleganti». Il Padre mira alla santità, all’alto, a formare delle anime di preghiera e di profonda interiorità ma ha delle nascoste ambizioni, non per sé,ma MISSIONARIE DELLA CONSOLATA: DOVE SONO Le Missionarie della Consolata, che quest’anno celebrano il Centenario della fondazione, sono circa 800, appartengono a 16 nazionalità. In Europa sono presenti in Italia, Spagna, Portogallo, Svizzera e Inghilterra. In Africa la- vorano in Etiopia, Kenya,Tanzania,Mozambico, Liberia, Guinea Bissau, So- malia. Nel Continente americano sono presenti negli Stati Uniti e in alcuni paesi dell’America Latina: Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia e Venezuela. Nel 2003 abbiamo attivato una presenza in Mongolia, in Asia. In alto a sinistra: il Beato Giuseppe Allamano nel 1923; qui sopra: suor Irene Stefani in un ospedale militare da campo in Kenya durante la prima guerra mondiale. Qui a sinistra: suor Gian Paola Mina, feconda scrittrice, a cui dobbiamo queste pagine. «Così vi voglio» Quanto al nome da darci, non eb- be esitazione: dovevamo essere «della Consolata» e tutte «consolati- ne», secondo il suo dire. Un po’ d’esi- tazione l’ebbe se chiamarci sempli- cemente «missionarie», come si leg- ge nelle inserzioni di «La Consolata» e nei primi foglietti informativi; op- pure «suore missionarie». Prevalse quest’ultima forma. Dovette sceglie- re anche se qualificare l’opera quale «Congregazione» o «Istituto»: decise

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