Missioni Consolata - Gennaio 2010

MISSIONI CONSOLATA ro capi e si accorgono appena che hanno dei capi» (5). Contrariamente a come viene spesso definito, il sistema cabilo non è tribale. L’appartenenza alla comu- nità base (villaggio) o all’Aarch (con- federazione di villaggi) non è condi- zionata da una origine comune. I membri di una stessa comunità so- no spesso delle origini le più svaria- te. L’unica condizione è l’adesione al codice comune e la partecipazione alla vita comunitaria. Il sistema è co- struito su due pilastri: solidarietà e responsabilità (6). In effetti le due cose sono abba- stanza collegate.Non si può preten- dere responsabilità da tutti se non c’è solidarietà, comprensione e ri- cerca di soluzioni comuni per i pro- blemi di tutti.Dall’altra parte, non ci può essere vera solidarietà se tutti non si sentono responsabili dell’an- damento della vita della comunità. Alcuni studi coloniali sulla struttu- ra di questa comunità stabiliranno che «L’organizzazione politica ed amministrativa del popolo cabilo è una delle più democratiche ed allo stesso tempo una delle più semplici che possa immaginarmi... L’ideale del governo libero ed a basso costo di cui i nostri filosofi cercano ancora la formula attraversomille utopie è una realtà da secoli nellemontagne cabile...». Ma raccomanderanno la destrutturazione di questo sistema perché incompatibile con l’estensio- ne dell’impero francese e dalla sua civiltà in Africa (7). Tutti gli invasori hanno cercato di portare via dalle comunità berbere le loro terremigliori. I turchi sono quelli che hanno fat- to l’opera più avanzata di privatizza- zione prima dei francesi. L’impero francese però ha voluto privatizzare tutto.Perché solo con la privatizza- zione poteva spezzare le forze delle comunità e sottrarre le terre ai sin- goli individui (8). L’obiettivo finale di questo piano non era soltanto imporre la domina- zione economica dei coloni,ma an- che e soprattutto «distruggere prin- cipalmente la proprietà collettiva per abbattere il potere delle famiglie co- me organizzazioni sociali,e rompere così la resistenza ostinata contro il dominio francese;questa resistenza si manifestava,malgrado la superio- rità del poteremilitare francese,per le costanti insurrezioni di tribù, ciò che creava uno stato di guerra per- manente nella colonia...» (9). Il vero e proprio genocidio che sarà la repressione dell’ultima insur- rezione cabila del 1872 calmerà le acque per un po’e permetterà final- mente alla Francia di penetrare que- sto territorio rimasto chiuso a tutti gli imperi.Ma poco più di 50 anni dopo, nel 1926, nell’immigrazione, un gruppo di militanti usciti dal Par- tito comunista francese fonda l’ Etoile Nord Africane (Ena),primo tassello di ciò che diventerà il movimento na- zionale algerino e porterà alla guer- ra di liberazione. MC GENNAIO 2010 47 S TORIA DI UNA SCALATA S i chiama Abdelaziz Bouteflika il presidente della Repubblica al- gerina. È nato nel 1937 nella città maroc- china di Oujda, a pochi chilometri da Tlemcen, città d’origine della sua famiglia. L'ottima situazione economica della sua famiglia gli permette di frequentare persino l'università, lusso raro per gli «indi- geni» in quel periodo. Però presto smette gli studi per entrare nell’or- ganizzazione politica del «Fronte di liberazione nazionale». Appena ventenne, entra subito a far parte di quella classe di giovani ambiziosi che fonda l'esercito delle frontiere. Questi uomini entrano in Algeria il giorno stesso della pro- clamazione dell’indipendenza, il 5 luglio 1962, entrano e prendono il potere. Nella storia algerina sa- ranno ricordati come il clan di Oujda. Bouteflika aveva soltanto 25 anni quando è stato investito della ca- rica di ministro degli esteri, sotto la presidenza di Ahmed Ben Bella. Ma mantenne il suo posto fino alla morte del secondo presidente (gol- pista), Houari Boumedienne, nel 1979. Dopo la morte di Boumedienne ci sono cambiamenti profondi alla testa del regime. Per 20 anni «Boutef» si fa dimenticare.Viaggia molto. Approfitta delle relazioni costruite durante la sua carriera di- plomatica (ma anche dei fondi sot- tratti alle casse del ministero, se- condo alcuni) per fare affari ed ar- ricchirsi. Quando si ripresenta sulla scena politica, nel 1998, il paese è di- strutto da 7 anni di guerra civile. Abdelaziz Bouteflika, pur essendo un ex «anti-imperialista», torna in paese fortemente sostenuto dagli Stati Uniti. Anche se viene larga- mente eletto in una consultazione (truccata con la benedizione degli osservatori internazionali), trova una forte opposizione da parte dei maggiori generali dell'esercito, storicamente teleguidati da Parigi. Oggi il piccolo Boutef ha domato tutti. Il suo potere è quasi senza ombre. Ha svenduto tutte le risorse energetiche alle multinazionali per pagare l'appoggio dell'Occidente. Ai generali ha lasciato il commer- cio non legato agli idrocarburi. Alle ultime elezioni è stato rieletto con il 90,24% dei consensi. Un ri- sultato che anche il vicino Ben Alì ormai si vergogna di dichiarare. KarimMetref Il presidente «Boutef» Sopra: il presidente Bouteflika con il presidente francese Nicolas Sarkozy (sulla sinistra). Sotto: veduta della zona del porto ad Algeri.

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