Missioni Consolata - Dicembre 2009
Già al tempo di Gesù i Rabbini insegnavano che lo studio della Toràh equivale al sacrificio offerto al tem- pio, ha, cioè, valore espiatorio. Oggi, noi diremmo che lo studio della Parola ha valore «sacramentale» ed è l’equivalente dell’Eucaristia. Questo insegnamento attraversa la storia di Israele e arriva fino a noi: «Chi si dedica allo studio della Toràh , ovunque nel mondo [anche fuori Gerusalemme], è considerato da Me [il Signore] come se bruciasse offerte al mio No- me» (Rabbì Samuel bar Nahman a nome di R. Yo- nathan). «Chi dedica la notte allo studio della Toràh è considerato dalla Scrittura come se avesse partecipa- to al sacrificio del Tempio» (R. Yohanan) e un altro Rabbi, anonimo, commenta: «Senza il Tempio (= in diaspora?), come puoi ottenere l’espiazione dei pec- cati? Studia le parole della Toràh che sono paragona- te ai sacrifici e così otterrai l’espiazione dei peccati per te». Il midràsh Sifre Deuteronomio 41, commen- tando Gen 2, 15 («Il Signore Dio prese Adam e lo po- se nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo cu- stodisse») afferma: «Perché lo coltivasse» si riferisce al- lo studio della Toràh e «perché lo custodisse» si riferi- sce all’osservanza dei comandamenti [1]. L’interpretazione corrente delle nozze di Cana si è adagiata anonimamente sul versante sacramentale perché bisognava giustificare in che modo e in che senso il matrimonio cristiano era ed è sacramento. Quale risposta migliore delle nozze di Cana? Vi è lo sposalizio, vi è Gesù, vi è la Madonna, vi sono gli apo- stoli; la Chiesa intera è presente e tutto è pronto: la presenza di Gesù diventa la «garanzia» della sacralità del matrimonio. La Madonna, poi, ha un posto ancora più privile- giato, perché è lei che intercede per il vino che viene a mancare e, come si è soliti dire, con la sua sensibi- lità di donna e di madre si è preoccupata perché gli sposini non facessero brutta figura. Che abisso! La ri- visitazione in chiave cristologica dell’irruzione di Dio nella storia di Israele e dell’umanità, la teofania del Si- nai riletta alla luce del Figlio di Dio, Gesù di Nazaret, è ridotta a semplice intervento di buon senso e di ga- lateo perché una sposina assente e uno sposo distrat- to non facciano brutta figura. Veramente siamo col- pevoli della scristianizzazione del nostro popolo. Co- me possiamo pretendere che il mondo creda se noi annunciamo un messaggio evangelico che il vangelo non ha? U NA SIMBOLOGIA CORRETTA Nel contesto messianico dell’alleanza, abbiamo scoperto che nulla è fuori posto o superfluo: la madre, i servi e le giare, oltre il loro senso immediato e ovvio, diventano simbolo dell’antica alleanza e rappresen- tanti del popolo d’Israele e dell’umanità, invitati a guardare a Gesù come Messia e salvatore. «È lui lo sposo! Corretegli incontro!» (cf Mt 25, 6). Anche l’as- senza della sposa e la presenza puramente coreogra- fica dello sposo sono simbolo non già del matrimonio cristiano (e come potrebbero esserlo?), estraneo alla preoccupazione dell’evangelista, ma dello stato di Ge- rusalemme divenuta «come una vedova fra le nazioni», in cui «nessuno si reca più alle sue feste» perché «dal- la figlia di Sion è scomparso ogni splendore» (Lam 1, 1.4.6). La Madre, in rappresentanza dell’umanità-vedova, e il Figlio, nella sua veste nuziale di Sposo, garantisco- no che è già giunto a noi «il principio dei segni» (Gv 1, 11), il tempo della «alleanza nuova», preconizzata dal profeta (Ger 31, 31). In altre parole, ora possiamo cominciare a vedere il volto di Dio, rivelato nell’uomo Gesù, che risplenderà nell’ora della morte, morte che a sua volta esprimerà l’ora della gloria: il mistero pa- squale, «principio e fondamento» della vita credente, Una veduta del Sinai. La scala di Giacobbe. Affresco presso le catacombe della Via Latina.
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