Missioni Consolata - Dicembre 2009
MISSIONI CONSOLATA MC DICEMBRE 2009 43 certo. Si stringe le mani sul grem bo, arrotondato dal prossimo arri vo di un figlio concepito insieme a un compagno incontrato in Italia. Ci racconta una storia unica ma co me tante altre, piena di dolore e sofferenza. «Sono nata a Mogadiscio, la mia vita era felice prima della guerra. Poi, solo dolore. Un giorno entrano in casa degli uomini armati e abu sano di tutte le donne della mia fa miglia. Compresa mia sorella di so li 10 anni. Secondo la nostra cultu ra, una donna non più vergine deve sposarsi e così mio padre mi trova un marito. Una mattina sento degli spari vicino a casa mia, esco e tro vo mio marito crivellato di colpi. La situazione peggiora, ci sono uomi ni armati sui tetti e sulle strade. La paura è sempre più forte, diventa la mia compagna quotidiana». La storia che con viva sofferenza ci racconta Amina è molto più lun ga di queste poche battute ma non ci interessa affondare il dito nella ferita. Non è etico, non è rispetto so nei suoi confronti. Questa don na ci apre il suo cuore, ci parla di altre due figlie avute in Somalia da un successivo marito. Due bambi ne bellissime che ora sono accanto a me mentre raccolgo la testimo nianza della loro madre. Adesso Amina è qui e, dopo un duro viag gio al femminile, porta nel nostro paese la voglia di ricominciare. Mentre le chiediamo dei rapporti con i consultori, con le istituzioni, scende un velo di mutismo. Le si legge la paura che una parola di troppo possa comprometterle l’inserimento in un progetto. Solo quando le si chiede da chi è stata seguita di più nei mesi dell’occu pazione alla Clinica, ci ricorda i no mi dei tanti ragazzi del Comitato per i rifugiati e le rifugiate. Questo ci basta. Non occorre che dica al tro. Le istituzioni in c.so Peschiera non si sonomai viste. E questo è un coro unanime da parte di tutti i ri fugiati. In questa città dai contorni artifi ciali, con ospiti più che reali, in contriamo anche una giovane cop pia con un bimbo di pochi mesi. So no Yonis e Isha, entrambi di 26 anni, provenienti dalla Somalia. Anche loro hanno abitato in c.so Peschiera, dove hanno vissuto l’iter della gravidanza di Isha e hanno vi sto nascere il loro piccolo.Yonis ci racconta: «Siamo arrivati a Lampe dusa il 22 agosto del 2008 e ab biamo seguito la prassi dell’acco glienza: schedatura, impronte di gitali e l’obbligo di sgombrare il campo dopo 24 ore. Nessuno ci ha informato su eventuali percorsi di accoglienza. Abbiamo pensato che avremmo avuto maggiori possibi lità in Nord Europa e così siamo an dati in Finlandia dove le autorità ci hanno informato che essendo stati registrati in terra italiana, era proprio l’Italia a doverci fornire l’aiuto necessario. Tornati a Roma e venuti a conoscenza della possi bilità di soggiornare in una casa oc cupata a Torino ci siamo diretti in c.so Peschiera. Qui abbiamo vissu to mesi difficili per le condizioni igienico sanitarie, per l’alimenta zione insufficiente e per il freddo. Inoltre, la cosa che abbiamo patito di più era dover vivere separati. In c.so Peschiera, infatti, donne e bambini vivevano in un’ala della ca sa e gli uomini nell’altra. Quando è nato il bimbo, l’ufficio stranieri ci ha fornito la possibilità, per Isha e per il bambino, di soggiornare in una casa spirituale ma mia moglie ha rifiutato tassativamente. Una fa miglia deve stare insieme, a mag gior ragione se è appena nato un bambino». E adesso, Yonis e Isha sono qui Sopra: un balcone-dormitorio nella ex Clinica San Paolo. Pagina accanto: una veduta della ex Clinica.
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