Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2009

MC / SPORCOMONDO Tutto iniziò in Senegal, nei quar- tieri periferici di Thies. «L’invasione dei sacchetti di plastica stava crean- do danni economici oltre che am- bientali: perdita di fertilità dei suoli, mortalità del bestiame. La gente ci chiese di essere aiutata per migliora- re l’ambiente» racconta Marco Al- ban, responsabile per l’Lvia della cooperazione decentrata ed esper- to del settore. Erano gli anni ‘95- ‘96 e la questio- ne delle buste di plastica non aveva ancora mosso la sensibilità dei go- vernanti africani. «Le sfide erano due:migliorare la raccolta dei rifiuti, magari coinvolgendo cooperative di giovani senza lavoro e mettere in piedi una filiera per il recupero della plastica, che diventasse un’attività e- conomica» ricorda Alban. L’équipe Lvia si informa presso le imprese produttrici di oggetti di pla- stica a Dakar (la capitale dista 70 km da Thies), e trova interesse. «Iniziam- mo a lavorare nel cortile di una casa del quartiere Silmang, e la quantità di plastica recuperata e venduta au- mentava». Poi arriva il primo finan- ziamento della Commissione euro- pea, che permette di allargare gli o- rizzonti: nasce il primo Centro di trattamento e valorizzazione della plastica. È il 1998. «La plastica rifiuto diventa una risorsa per chi riesce ad avere lavoro grazie ad essa».Ancora oggi sono una quindicina le donne assunte inmodo permanente, alle quali si aggiunge un’équipe supple- mentare il cui numero di compo- nenti varia da 10 a 15. La popolazione porta la plastica recuperata che le viene pagata al chilo. Le donne la lavano accurata- mente e poi passa in una macchina che la sminuzza in coriandoli (detto granulato). Sono questi che saranno venduti alle imprese come materia prima. UNO SPORCO LAVORO Marco Alban chiarisce: «Volevamo lavorare con i giovani,ma questi hanno rifiutato un tipo di lavoro che reputano sporco, poco dignitoso e con il quale si guadagna poco.Han- no pensato che è meglio non lavo- rare. Abbiamo invece trovato nelle madri di questi giovani delle valide lavoratrici e ancora oggi andiamo avanti con una cooperativa fondata da loro». Marco sottoli- nea quindi la difficoltà a lavorare con i giovani su tematiche, come quelle ambientali, che di fatto riguardano il futuro.Un problema si- mile l’Ong lo trova anche negli altri paesi in cui ha realizzato dei «Centri plastica». «Un altro concetto importante - spiega Alban - è che l’obiettivo non è quello di raccogliere i rifiuti, bensì di indurre un cambiamento di men- talità e quindi di comportamento nelle persone. Se la gente di un dato quartiere sa che la bottiglia di plasti- ca non va buttata in strada, perché al centro plastica è acquistata, ecco che in un angolo del cortile di casa i- nizia a raccogliere bottiglie da rici- clare». E il centro funziona.Così altre città MC OTTOBRE-NOVEMBRE 2009 63 Lavoro al centro di riciclaggio di Ouagadougou: le donne tagliano a pezzi i rifiuti a colpi di machete.

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=