Missioni Consolata - Settembre 2009

18 MC SETTEMBRE 2009 AUSCHWITZ era uno di quei quattromila bambini fatti fuori.Come hanno potuto una mente e un corpo umano,menti e corpi uguali a quelli di quasi unmi- lione e mezzo di ebrei uccisi, arrivare a tanta violenza.Una violenza medi- tata, studiata.Come può esserci nel cuore dell’uomo una brutalità tale. Esco dalla cella e continuo il mio viaggio in unmondo di ricordi non miei. Zoltan racconta, racconta, scru- tandomi. Montagne di capelli, di pettini, di gavette, di scarpe e vestiti dietro un’anticamera di vetro riem- piono le stanze.Gigantografie sve- gliano chi non ha avuto ancora il tempo di immaginare come avveni- va l’ispezione. La luce di una fredda mattina di marzo filtra dalle finestre evidenziando le vetrate con i loro te- sori. Una luce perfetta...Ma che sen- so ha fotografare montagne di ca- pelli? mi chiedo. Mi sento prendere la mano. È Zol- tan che legge nei miei movimenti. Lo guardo e nei suoi occhi leggo le mie domande. Ricorda ancora il freddo che scioglieva le ossa duran- te la notte, con un sacco di tela che copriva quattro persone, il lavoro, le violenze e i soprusi. Entriamo nella sala dove venivano portati i bambini.Vestitini, ciucci, scarpine sono ancora integre sotto teche di vetro. Il cuore mi balza in gola, un brivido freddomi attraver- sa; immagino le scene lette nei libri, penso all’inquadratura ponendo tra me e quei ciucci una barriera, la mia macchina fotografica.Ma il sangue mi bolle nelle vene, rabbia e impo- tenza mi esplodono dentro.Devo fermarmi non vedo più.Gli occhi i- nondati si rifiutano di vedere, di fis- sare attraverso un obiettivo l’imma- gine che ho di fronte. Esco per respi- rare aria nuova.Non sento più il mio corpo. S ono le 16.00. La nausea conti- nua a scuotermi. Zoltanmi consiglia di tornare in hotel e rilassarmi.Ci organizziamo per il giorno seguente. Percorro i 40 chilo- metri di strada che separano Au- schwitz da Cracovia, osservando quei boschi fitti e impervi.Gli stessi attraverso i quali molti sono scappa- ti, sonomorti o sono stati fucilati da giovani soldati tedeschi. Arrivo all’hotel stordita.Mi segue ancora quell’odore acre di pelle.Ce MURI E MEMORIA DA SALVARE N ei mesi scorsi è circolato su Internet una catena di sant’Antonio con la se- guente notizia: «Il Regno Unito ha rimosso l’Olocausto dai piani di studio scolastici poiché“offendeva” nei confronti della popolazione musulmana, secon- do la quale l’Olocausto non è mai esistito». Si tratta di una bufala; la notizia è fal- sa, anche se fa parte di un messaggio più ampio contro le voci e atteggiamenti ri- correnti che negano uno dei momenti più oscuri dell’umanità, contro il rischio sempre in atto di volere cancellare le verità scomode o troppo dolorose. Non sorprende che, a 60 anni di distanza, si neghi l’esistenza diAuschwitz e dei lager nazisti, dal momento che il coraggio di negare i genocidi che si stanno con- sumando inAfrica e inTerra Santa... Non fanno notizia, direbbe qualche capore- dattore o photo-editor ! Il massacro del Ruanda nel 1994 non fu riconosciuto allora e nemmeno dopo l’uscita del film « Hotel Ruanda »; un documento che dovrebbe disintegrare il cuo- re e dignità di qualsiasi occidentale... per aver lasciato trucidare milioni di Tutsi, perché africani, perché troppo lontani da noi e perché le nostre potenze non a- vevano interessi a mandare eserciti a morire. È disarmante nel vedere il film sentir dire da un capo dell’esercito dell’Onu a un ruandese che lo ringrazia perché venuto a salvarli: «Non ringraziarmi. Sputa- mi in faccia.Per noi occidentali voi siete spazzatura.Non siete degni di essere sal- vati e quindi di mandare uomini a morire per difendervi». E l’Onu interverrà a genocidio già consumato a colpi di machete. Ma questa è un’altra storia! S i può negare Auschwitz e Birkenau solo se non ci si è mai stati.L’odore di car- ne bruciata, gli sguardi vuoti e terrorizzati di angeli ti prendono per mano al- l’entrata del cancello, dove la scritta « Arbeith mach frei » (il lavoro rende liberi) è una fucilata semantica e linguistica al cuore di qualunque persona nata e vissuta dopo quel genocidio. Giorni fa leggevo un articolo di Pietro Calabrese che, riportando l’appello del premier polacco Donald Tusk all’Unione europea,scriveva:«SalviamoAuschwitz. Il lager nazista dell’orrore e della follia sta cadendo a pezzi».Restaurare una strut- tura di genocidio, case che hanno accolto e mura che hanno torturato uomini con lo stesso colore di occhi, di capelli, di pelle, con due gambe come noi, effet- tivamente è un pugno allo stomaco; ma come dice Pietro Calabrese e come di- ce DonaldTusk, «nessuno di noi può permettere che cada a pezzi e che ne per- diamo il senso e la memoria». Agli amici negazionisti, che non mi va di chiamare solo musulmani, perché ce ne sono tanti che vivono in mezzo a noi, che magari incontriamo tutte le matti- ne al bar o a cena con amici, che si sentono moralmente in grado di negare gli e- sperimenti medici fatti sui corpi di bambini vivi, la cui unica colpa era essere zin- garo o ebreo, o di negare che in quei 40 chilometri quadrati sono stati soffocati e bruciati un milione e mezzo di ebrei, io dico solo: «Andate a Auschwitz! Per- correte i 40 chilometri quadrati, i binari della ferrovia. Ascoltate i silenzi e il fru- scio di quegli alberi, che hanno visto tutto e sentirete la terra gridare, trasudare l’odore di morte, i pianti strazianti dei bambini torturati, le ultime grida di don- ne bruciate vive vi scoppieranno nelle orecchie.Ascoltate i racconti di un so- pravvissuto, guardatelo negli occhi, nei suoi gesti frenetici e inconsulti, dovuti al- la schizofrenia di un terrore che non morirà nemmeno quando quel corpo e que- gli occhi si fermeranno per sempre. E in quel momento capirete che anche se non conoscete o riconoscete la nostra storia quel luogo non può essere stato inventato dalla fantasia platonica di una mente “geniale”». Già il nostro Macchiavelli aveva espresso come «il fine giustifica i mezzi»; e sì il fine di una mente malata, quella di Hitler, è riuscita a tal punto a condizionare le menti umane che non solo fino al processo di Norimberga i generali tedeschi provarono a giustificare gli orrori delle loro azioni con il fine di avere l’obbligo e l’impegno di dover ristabilire la razza ariana ma tuttora Hitler è riuscito a insi- nuare inconsapevolmente nella mente di qualche intellettuale o mediorientale che il fine giustifica i mezzi... e che magari per arrivare a questa civiltà moderna non è detto che davvero quelli siano stati i mezzi. R.R.

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