Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2009
26 MC LUGLIO-AGOSTO 2009 CAMERUN te. Se non basta, sono avvelenati. Tutto senza processo e spesso senza prove,ma dietro semplice de- lazione. Le organizzazioni internazionali di difesa dei diritti umani, come Amne- sty International, la Federazione in- ternazionale delle leghe dei diritti dell’uomo (Fidh), l’Associazione con- tro la tortura (Apt) e quelle locali, co- me la Acat (Associazione cristiana contro la tortura) denunciano perse- cuzioni ed esecuzioni sommarie. Già nel novembre dello stesso an- no la commissione delle Nazioni U- nite contro la tortura chiede al go- verno del Camerun di sciogliere il corpo. Si muoverà anche l’Alto com- missariato per i diritti umani. Dopo appena un anno di attività i desaparecidos africani sono oltre un migliaio. «Quando decisi di girare Une affai- re de nègres , tutti mi dicevano: “Tu non avrai la capacità e la forza di portare a termine un progetto così difficile”. Ma poi, quando incontravo dei personaggi,mi vedevano fragile e così mi davano fiducia più facil- mente. I rapporti personali sono a volte più semplici, quando si è don- na. Poi ci sono finanziamenti in favo- re della promozione delle donne realizzatrici, e cerchiamo di approfit- tarne». LEVITTIME NON SI DIMENTICANO «Abitavo in Camerun quando il Commandement opérationnel è stato creato ed ero più omeno nello stes- so torpore dei miei concittadini,non sapendo che cosa stava succedendo. Non ero cosciente. La città in cui è successo,Douala, è conosciuta per il suo lato eccessivo e soprattutto per la sua posizione all’opposizione ri- spetto al governo. Leggendo i gior- nali si prendeva distanza rispetto ai fatti emi ci è volutomolto tempo per rendermi conto che vicino ame un tale dramma si era consumato». Le motivazioni che la portano a questa vicenda sono ancora una volta interiori: «È un film forse egoi- sta, un po’ catartico, nel quale tento di fare qualcosa che non ho fatto prima.Dovevo agire. Fare inmodo che questa storia sia conosciuta, in quanto lo è molto poco, e che la gente si fermi a riflettere.Volevo che le famiglie delle vittime, i cui figli so- no stati sepolti come dei malfattori, accusati di banditismo senza alcuna prova, avessero la possibilità di dire: no, non erano dei banditi». Girare un film su un tema che il governo vuole si dimentichi, a pochi anni dall’accaduto, non è impresa e- sente da rischi. «Ho fatto quattro anni di ricerche prima di iniziare le riprese.Chiesi a tutta l’équipe la totale discrezione su quello che stavamo facendo.Ab- biamo girato le immagini conmolta prudenza e con un po’di fortuna non ci sono stati problemi. Certo abbiamo avuto anche pau- ra: ogni volta che iniziavamo a pren- dere delle immagini non sapevamo se avremmo terminato.Mi ricordo quando siamo partiti dal Camerun, all’aeroporto tremavo e mi dicevo “avranno saputo che stiamo facen- do questo film”». Il documentario è diffuso dalla te- levisione francese. Viene visto anche in Camerun, nella versione Tv, un cortometraggio, nel febbraio del 2008.Al ministero camerunese della comunicazione vanno in fibrillazio- ne e vogliono preparare un contrat- tacco: un video che presenti il punto di vista governativo.Ma poi non si sa più nulla. «Ci sono state reazioni aggressive da parte del governo del Camerun, ma solo di tipo verbale - racconta O- svalde -. Sono stati sorpresi che io sia ritornata su questa storia imbaraz- zante, che si vuole non risvegliare. Mi hanno telefonato, e non erano molto amichevoli». TESTIMONI CORAGGIOSI Il filmpresenta molte testimo- nianze. Familiari delle vittime, il gior- nalista SéverinTchounkeu (direttore di LaNouvelle Expression ), politici di opposizione. Fondamentale è il co- raggioso avvocato Jean de Dieu Mo- mo, che cura la difesa dei parenti delle vittime in tribunale. Struggente il racconto di mada- me Etaha, la vedova di uno dei nove scomparsi del quartiere Bepanda (febbraio 2001), il caso che ha crea- to più scalpore e quindi reazioni na- zionali e poi internazionali. I nove furono arrestati, torturati e uccisi perché sospettati del furto di una bombola di gas. Agghiacciante invece la descrizio- ne delle operazioni da parte di un militare, ex membro del Commande- ment , Rigobert Kouyang. I testimoni, tutti residenti in Came- run, non hanno avuto problemi do- po la diffusione. «Non che io sappia - racconta O- svalde -.Hanno raccontato in tutta coscienza. Sono stata con loro tre anni prima di girare e ho chiesto lo- ro se erano sicuri di fare questa testi- monianza. Sapevamo tutti che a- vremmo preso dei rischi, pur non sa- pendo quali.Ognuno ha avuto tempo di misurare le conseguenze del proprio impegno in questo film». Una pellicola molto coinvolgente per tutti. «Sono questioni ancora attuali. Eravamo preoccupati per la reazione del governo». Un filmmo- strato pure all’estero, che attira l’at- tenzione della comunità interna- zionale. «Anche l’équipe tecnica era co- sciente dei rischi,ma tutti hanno vo- luto andare fino in fondo». Osvalde ha realizzato due versioni di Une affaire de nègres , una per la te- levisione e un’altra, più lunga, per il cinema.Ora sta lavorando per proiettare in Camerun la versione integrale, eventualmente in dvd op- pure riaprendo per l’occasione un cinema (le ultime sale cinematogra- fiche del Camerun sono state chiuse aYaoundé nel 2008). «In realtà il filmha già avuto un grande impatto nel paese, è stato anche piratato e diffuso sul mercato informale. È una pagina della nostra storia che è un po’nera,ma siamo pronti...». DIFFICILE REPERIRE I FONDI Una lavorazione che dura cinque anni è costosa e soprattutto il film non è redditizio economicamente. Uno sforzo notevole è stato fatto per reperire i fondi. «Avere i soldi per la realizzazione è stato complicato. Non volevo fare un film senza mezzi, volevo avere un potenziale cinematografico. Pur- troppo i giovani cineasti non capi- scono sempre che bisogna prende- re molto tempo per fare bene le co- se. Ho avuto la fortuna di presentare un piccolo testo a un fondo canadese per la cultura. Non
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