Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2009
MISSIONI CONSOLATA raio di Ostia, razzista, conmoglie e fi- gli a casa ma qui viene a comandare e a divertirsi sbandierandomi i suoi soldi» mi dice stizzita Rosa. Lo guardo fulminandolo per lo sdegno da donna, italiana e bianca, mentre lui, indifferente e con ancora indosso la tuta da lavoro, fa cenno a Rosa che la sta aspettando già da troppo tempo.Mi fa capire che non vuole finire nelle mie foto, chiuden- dosi la porta dietro non prima di a- ver fatto entrare Rosa. Guardo Alessandra impotente: che si fa? Chiamiamo la polizia? Non possiamo, ne andrebbero di mezzo tutti e poi vuoi che non si sappia già cosa succede qui dentro.Continuia- mo a giocare con i bambini mentre la mamma si sta prostituendo den- tro quella stanza.A pochi metri dai figli che potrebbero spingere la ma- niglia della porta, entrare e vedere tutto.Vedere cosa mi dico, che non avranno già visto! Dopo un po’ si riapre la porta, l’ita- liano esce e se ne va senza nemme- no salutare suo figlio e noi ci avvici- niamo. Rosa sta sistemando quell’u- mida e scrostata camera.Non so che dirle.Che discorso iniziare.Ci invita subito a entrare e ad accomodarci sull’unica cosa che ha: un grande let- tomatrimoniale con ancora lenzuo- la disfatte.Cosa dirle? «Non preoccu- parti, ne uscirai! Ci sono tante asso- ciazioni, ti aiuteremo». I l brutto e il bello del mio lavoro è proprio questo.Quando ti occupi di reportage sociale, quando rac- conti la disperazione, le difficoltà di queste persone... è vero che dai loro voce,ma non puoi dirgli esplicita- mente ti aiuterò perché non puoi farlo.Non puoi aiutare tutti. Perché anche se conosci tante persone non puoi sempre chiedere e chiedere di darti una mano a sistemare questo e quello. Puoi consigliare delle asso- ciazioni di aiuto e sostegno. Rosa chiarisce subito che se siamo lì per farle una predica o per giudi- carla è perché non conosciamo co- me va il mondo. Le dico che posso provare a capirla.Non voglio giudi- carla. Voglio invece ascoltarla. «Sono venuta qui come tante, con la speranza di un futuro e di un lavo- ro. Mio fratello in Nigeria mi aveva venduta a un trafficante di droga e donne,molto pericoloso e io non lo sapevo. Sapevo che in Nigeria succe- devano queste cose,ma se non ti fi- di nemmeno di tuo fratello! Noi in A- frica non siamo come voi, crediamo nella famiglia, viviamo tutti insieme senza distinzioni e se un parente ha bisogno siamo pronti a fare sacrifici tutti.Ho capito chi era quel mio tran- quillo fratello quando era ormai troppo tardi. E la storia continua co- me voi giornaliste già sapete. Botte, botte, botte e poi la strada.Aborti continui e strada. Strada, droga e a- borti clandestini. Lavoravo dalle 12 alle 15 ore sulla strada senza poter- mi permettere nulla.Anche i vestiti erano i loro». Cerco di capirla e iniziare con dei se e dei ma...Rosa tronca il discorso. «Non accetto critiche da te.Che ne sai tu della disperazione,di tuo figlio che ti dicemamma ho freddo,mi fa male la pancia.Ho fame.Allora an- che se quel bimbo ha la faccia di quello che ti ha usato è anche parte di me. Jafety ha i miei occhi.Nelson la mia faccia.Allora non pensi al tuo corpo o a te stessa.Pensi che è l’uni- ca cosa che hai che può dare da mangiare a tuo figlio. Sono riuscita a staccarmi da quello chemi ha messa sulla strada.Gli ho pagato il famoso MC LUGLIO-AGOSTO 2009 21 Vita nella casa di via Carlo Felice Jafety e il piccolo Nelson
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