Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2009

flotte in un riuscitissimo esempio di integrazione.Ma l’integrazione non è solo dei bambini.Non può che stu- pirci questa straordinaria integrazio- ne tra stranieri e italiani, perché la casa ospita anche italiani del meri- dione, che lavorano in nero nella ca- pitale e non possono permettersi gli affitti altissimi. Inutile dire che quella è considera- ta una bruttura estetica al centro di Roma, vissuta come un pericolo dai vicini chiusi nei loro grandi apparta- menti. E come ho sempre sostenuto quando si parla di immigrazione un esempio del quale i nostri stressati ministri potrebbero prendere esem- pio per una migliore politica d’im- migrazione e miglioramento dell’in- tegrazione in spazi di vita comuni. Musulmani, cattolici, cristiani copti che si capiscono in un italianome- scolato da parole della loro lingua che non hanno traduzione. I bambi- ni corrono su e giù per le scale. Si chiamano, si cercano contenti di a- vere uno spazio tanto grande per giocare. U na decina di materassi a terra incastrati come un puzzle in quattrometri per quattro.Un 18 MC LUGLIO-AGOSTO 2009 ITALIA C alcinacci,muri affumicati dal- l’umidità, secchi ovunque per raccoglier l’acqua che goccio- la come un lavandino semi chiuso e un odore fortissimo che mi ottura il naso. «Attenzione non aprire a nes- suno! Guardate sempre dal buco... attenzione alla polizia!». È la scritta tradotta in arabo, serbo, rumeno, wolof e italiano che ricopre il grosso portone che si chiude immediata- mente dietro di noi. È difficile far finta di nulla,parlare, camminare e pensarementre un o- dore opprimente si insinua nel naso, nellamente,nella bocca.La sceno- grafia in cui mi muovo sembra quella di un filmambientato dopo la guerra in Jugoslavia. Invece siamo solo a Ro- ma a pochi metri dalla basilica di San Giovanni in Laterano. In uno dei tanti quartieri più costosi di Roma. Tantissime porte si aprono e si chiudono, sguardi terrorizzati mi at- traversano scrutandomi dall’alto in basso. I pensieri silenziosi e la paura li avverto con la stessa intensità di una fucilata. Lo stesso rumore sordo. Pianti, lamenti, chiacchiericcio occu- pano l’aria insieme a quell’odore che mi rimarrà dentro.Un melting pot di cucine e culture diverse au- menta manmano che salgo i sei pia- ni dell’edificio. Cento-centocinquanta persone, 60 nuclei familiari occupano questa grande casa di proprietà della Banca d’Italia in via Carlo Felice. Senza luce perché la Banca d’Italia impedisce all’Acea di Roma di stipulare con- tratti con gli occupanti per l’eroga- zione dell’energia elettrica. Non sono sola.Conme c’è la mia collega Alessandra Sinibaldi. Il no- stro contatto è una peruviana,A- lexandrina. Colf di una famiglia bor- ghese romana.Alexandrina è una vera e propria istituzione nella casa. Ci racconta come, tramite una rego- lare elezione fatta dagli inquilini, si vota il rappresentante capo della ca- sa. «Ci sono regole rigide per i nuovi arrivati.Non possiamo rischiare tutti per qualcuno» spiega Alexandrina. Organizzati come in una fabbrica ci sono turni di pulizia degli spazi comuni, turni di coloro che fanno i muratori, la stragrande maggioran- za della manovalanza edilizia roma- na, che sistemano, bucano, tirano su muri cercando di migliorare la casa. I bambini come sempre sono i più curiosi.Come in Africa, bastano po- chi passi per ritrovarseli attorno a Primo piano di casa Action in via Carlo Felice

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