Missioni Consolata - Giugno 2009
interruzione dei canali linfatici che tenevano in vita la repubblica, la quale si ritrovò a dipendere total- mente dai vicini, senza via d’accesso, senza energia, senza cibo.Tutti i vizi che stavano all’origine del suo con- cepimento furono d’improvviso evi- denti: isolamento, scarsità di risorse agricole ed energetiche, frammen- tazione del territorio e difficoltà del- le comunicazioni interne. Le conseguenze della fine del si- 32 MC GIUGNO 2009 TAGIKISTAN tagliato il cordone ombelicale con le altre parti dell’Unione. Per andare a Khujand si saliva sul treno a Dushan- be, si faceva un tratto in Uzbekistan, poi inTurkmenistan, ancora in Uz- bekistan e si rientrava inTagikistan. Nessun visto, né dogana. Inserito nel sistema economico dell’Unione, poco importava che non ci fossero riserve energetiche proprie e scarseggiassero i terreni a- gricoli: il gas vi era portato dall’Uz- bekistan, il grano dalla Russia e dal Kazakistan. Furono impiantate indu- strie che potevano funzionare solo in un ambito interrepubblicano, co- me l’enorme fabbrica d’alluminio di Tursunzadè, una delle più grandi dell’Urss, dove la materia prima arri- vava da altre repubbliche. Inoltre, come zona montana e depressa, il Tagikistan riceveva consistenti sov- venzioni federali. La fine dell’Urss significò la brusca Superficie: 143.100 kmq Capitale: Dushanbe Popolazione: 6.920.300 (stime 2006) Gruppi etnici: tagiki 64,9%, uzbeki 25,9%, russi 3,5%, tartari 1,4%, kirghizi 1,3%, altri 3% Moneta: Somoni Religione: musulmani (sunniti 80%, sciiti 5,1%), ortodossi 1,4%, senza religione 13% Lingua: tagiko (ufficiale), russo, uzbeko Ordinamento politico: Repubblica presidenziale, indipendente dall’Urss nel 1991. Presidente: Imomali Rakhmonov (rieletto nel 2006); primo ministro: Akil Akilov dal 1999 Pil: 440 $ Usa procapite (2006) Economia: diffusa l’agricoltura di cereali, patate, cotone, e l’allevamento di ovini e bovini; la ricchezza maggiore proviene dalle ri- sorse minerarie: carbone, petrolio, gas naturale, oro, uranio; industrie svi- luppate attorno alla capitale (metallurgica, meccanica, chimica, tessile) I buoni rapporti tra Iran e Tagikistan non hanno solo ra- gioni economiche. I due paesi sono legati da una comu- nanza di lingua e cultura. Dall’antichità queste terre sono state abitate da popolazioni iraniche e hanno fatto parte dell’area di cultura iranica. Il dari parlato dai tagiki è una va- riante arcaica, vicina alla lingua della letteratura classica, del farsi parlato dagli iraniani. I due paesi si contendono la glo- ria di aver dato i natali ai grandi nomi della letteratura per- siana, poeti come Rudaki, Ferdusi, Khayyam, Rumi. P er gli stessi motivi culturali, linguistici ed etnici ilTagiki- stan ha un legame molto forte con l’Afghanistan, dove un 20% della popolazione è di etnia tagika e il dari è lingua nazionale. I due paesi hanno in comune una frontiera di cir- ca 1.300 km lungo il corso del Pianj, frontiera su cui si so- no riflesse le vicende tormentate della loro storia recente. Tra il 1992 e il 1993 il Pianj vide il passaggio di circa 90 mi- la persone in fuga dalla guerra civile inTagikistan, in cerca di rifugio nel pur dilapidatoAfghanistan settentrionale. Il con- flitto, che i tagiki ricordano come una vergogna nazionale perché scatenò un’eruzione di faide personali ed etniche, nonché d’istinti puramente criminali, fece in pochi mesi cir- ca 30 mila vittime. A cominciare dal 1994, i tagiki ripresero lentamente la via del ritorno; nel frattempo, però, era cominciato un flusso contrario: erano gli afghani ad attraversare il fiume. Dopo la caduta del regime di Nagibullah nel 1992, anche nel lo- ro paese era scoppiata la guerra civile tra le fazioni dei mu- giaheddin . La fuga dall’Afghanistan cominciò in quel perio- do. Dapprima scapparono coloro che avevano occupato posizioni ufficiali durante il passato governo e temevano la vendetta dei mugiaheddin .Con l’arrivo dei talebani il flusso riprese più consistente. Nell’autunno del 2000 tra le 10 e le 14 mila persone si trovarono bloccate su alcune isole e lingue formate dal Pianj, in una specie di terra di nessuno: guardie di frontiera russe e autorità tagike non consentivano loro di varcare i confini, temendo che tale massa di profughi potesse destabilizzare un paese già poverissimo. C on la cacciata dei talebani e l’insediamento del gover- no Karzai, gli afghani cominciarono a tornare a casa. Alla fine dei 2002 inTagikistan ne rimanevano solo 3 mila, di cui una metà poté trasferirsi in Nord America e Cana- da, grazie a speciali programmi di accoglienza.Dalla fine del 2007, tuttavia, gli afghani hanno ripreso ad attraversare il Pianj. Questa volta ciò che li spinge a scappare è il conti- nuo deteriorarsi delle condizioni di sicurezza:temendo per l’incolumità propria e dei propri figli, lasciano le case e sbar- cano in una terra che, oltre alla sospirata sicurezza perso- nale, bene comunque prezioso, non può offrire loro nien- te di più. POPOLI IN FUGA
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