Missioni Consolata - Giugno 2009

28 MC GIUGNO 2009 MOZAMBICO mancanza di catechisti preparati: «Quelli che avevano sostenuto la chiesa durante il tempo della perse- cuzione (dopo l’indipendenza, ndr), stavano diminuendo per età o de- cesso. I catechisti sono anche forma- tori di animatori, quindi tutta la struttura della parrocchia e delle co- munità ne soffriva». Padre Faedi ne parla con il vesco- vo domAlberto Setele, dicendo che in nessuna parte del Mozambico si fanno più questi corsi. Il vescovo acconsente a cercare una persona che possa riaprire il centro di Guiúa: un teologo con e- sperienza. Le persone contattate non si resero disponibili. Il vescovo allora insiste con Faedi: «Sarai tu a riaprire il centro catechetico». «Arrivai a Guiúa dalla missione di Vilankulos. All’inizio consultai tutti coloro che avevano già fatto corsi in passato per avere consigli su come organizzarlo». Finalmente il corso i- nizia con quattordici famiglie nel 2003. Si decide per corsi residenziali di un anno. La scelta è quella di formare solo famiglie: «Vogliamo formare la fami- glia cristiana: lui e lei, uno dei due catechisti,ma entrambi coinvolti nel cammino di fede e testimonianza. La condivisione di vita di queste fa- miglie cristiane a Guiúa, con le diffi- coltà, ma soprattutto la comunione di preghiere, lavoro, riflessione. Poi sono“seminati”nel loro villaggio». I formatori sonomissionari, e mis- sionarie, ma anche laici, tra i quali catechisti che hanno già seguito il corso. Parte della formazione è svolta in lingua, xitwha,mentre fondamenta- le è pure l’alfabetizzazione in porto- ghese. «Ho avutomolte soddisfazioni da questa missione» ricorda Faedi «Uo- mini e donne che hanno lasciato tut- to per un anno,per affrontare una vi- ta diversa.Uomini rudi, abituati al la- voro nei campi che devonomettersi a studiare». E continua: «Quando li ri- chiamavo per fare il corso agli altri, vedevo che erano cresciuti a livello intellettuale, teologico,di impegno cristiano, vita famigliare.Una crescita umana e religiosa». La comunità che li ha scelti e inviati ne accudisce la casa e il campo (talvolta i figli) du- rante la loro assenza. CURADELLA FAMIGLIA «Nella mia comunità siamo più di 800 cristiani» ricorda Elias Mehama. MASSACRO IN MISSIONE L a Chiesa ministeriale del Mozambico conta i suoi martiri.Tra gli altri i 24 di Guiúa. A livello diocesano si era fatta la scel- ta coraggiosa di riaprire il centro di formazione,dopo oltre quat- tro anni di chiusura. Era la notte del 22 marzo 1992 e manca- vano poco più di sei mesi alla fine della guerra. Suor Thérèse Balela, francescana missionaria di Maria, congolese, era arrivata a gennaio e faceva parte dell’équipe che avrebbe dovuto orga- nizzare le formazioni. Testimone diretta di quella tragedia rac- conta. «E ra la vigilia dell’inaugurazione del centro. I ribelli della Re- namo sono arrivati sulla montagna e vi hanno fatto il loro accampamento. Preparavamo la cerimonia di apertura della formazione e pensavamo che fossero militari, giunti per assicu- rare la sicurezza. Verso l’una di notte ho sentito un gran fra- stuono: battevano sulle porte e le finestre delle case dei cate- chisti. Dopo 20 minuti ecco i primi spari: avevano ucciso Car- los un catechista,arrivato tra i primi. Voleva scappare e gli hanno sparato alla schiena. La mia consorella mi ha detto di spegnere le luci. Ma i ribelli dicevano: “abbiamo visto che siete qui, ucci- deremo tutte le suore e i padri”. Ho chiuso tutte le consorelle nella mia camera e mi sono bar- ricata in casa. Io pensavo che in quanto straniera, non mi a- vrebbero ammazzata. I ribelli avevano preso tutti i catechisti ed erano scesi alla no- stra casa. Erano sempre più furiosi perché non riuscivano a en- trare. I padriAndrea Brevi,che era il direttore del centro,e John Njoroge, del Kenya erano a casa loro e dormivano. Sono scesa in cappella, ho preso il santissimo dal tabernacolo e ho salito le scale: parlavo con il sacramento. I ribelli intanto di- cevano: “sei là e ti uccideremo”». «F acevano delle domande ai catechisti e questi rispondeva- no: “siamo appena arrivati, non sappiamo nulla”. Nel frattempo si sono sentiti altri spari. Era l’esercito regolare che si avvicinava. “Andiamo perché il Frelimo sta arrivando” dis- sero e partirono con i catechisti e i loro bambini. Sono andati a tre chilometri, nella foresta, dove li hanno massacrati. Il mattino sono rimasta in casa, tutte le suore erano molto giù di morale e non parlavano. Io volevo andare dai padri. Le suore mi hanno detto che c’era pericolo di mine. Intanto un neonato di cui avevano ucciso la madre era stato gettato sulla nostra strada. Sono andata a recuperarlo e ho visto arrivare i missio- nari. Il padre ha preso la macchina ed è andato in città ad avvi- sare il vescovo. Intanto un bambino di 7 anni è arrivato pian- gendo e mi ha detto“hanno ucciso tutti i nostri genitori.Mi han- no inviato a dirvelo affinché andiate a recuperare i cadaveri”. Abbiamo soccorso quel bimbo e più tardi, con una scorta mili- tare mandataci dal governatore siamo andati sul posto. Abbiamo visto tre cerchi: le mamme in un cerchio, i papà in un altro e i bambini in un terzo.Tutti uccisi alla baionetta. Ho tro- vato quattro piccoli che succhiavano i seni delle loro mamme. Erano gli unici superstiti.Erano feriti ma si salvarono:adesso so- no grandi e sono ancora con noi. Hanno ucciso i bambini, e al- tri li hanno portati con loro per il trasporto di munizioni e vi- veri. Abbiamo recuperato almeno sette bambini di quelli de- portati, quando siamo andati nelle basi per il programma di riconciliazione, alla fine della guerra. Due famiglie di catechisti si salvarono. Un uomo con moglie e due figli si nascosero nella fossa della latrina, un’altra famiglia trovò riparo nel bagno in casa.Oggi prestano ancora il loro ser- vizio». a cura di Marco Bello Sui martiri di Guiúa Mc aveva già pubblicato un servizio nel marzo 2002. Padre Francisco Lerma ha scritto «I martiri di Guiúa», 2001. Testimonianza Suor Thérèse Balela, testimone oculare del massacro di Guiúa, va spesso a pregare al cimitero dei martiri.

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